“Wō” (nano, giapponese) e “Kou” (bandito). “Predoni nani o giapponesi”, così i cinesi chiamavano fin dal V secolo d.C. tutti quei uomini di mare che non disdegnavano una scorreria tra i mercantili al largo del Mar Cinese Orientale o che ambivano ad arrembare qualche vascello militare nelle acque dello Stretto di Corea. Quel nome scelto per stizza o vera e propria antipatia è sopravvissuto nel tempo, giungendo fino ai giorni nostri. Eppure di loro, dei Pirati Wokou, sappiamo davvero poco. L’incertezza sul loro conto è poi imbarazzante se confrontata con le innumerevoli operazioni di destabilizzazione messe in atto nell’Asia Orientale per un lungo, lunghissimo arco temporale.
Giochiamo al gioco del “botta e risposta”, nella speranza di fornire una spiegazione quanto più lucida (e priva di digressioni fuorvianti) possibile. Chi erano? Esistono molte teorie a riguardo, ma quella che dagli anni ’80 dello scorso secolo prevale per attendibilità – attribuita al professore di storia presso l’Università di Tokyo, il signor Shōsuke Murai – vede i Wokou come un gruppo eterogeneo dal punto di vista etnico. Sebbene il nome lasci intendere una prevalenza nipponica, si è scoperto come questa fosse effettiva solo nei primi secoli d’attività (che, per utilizzare termini convenzionali europocentrici, rintracciamo nell’Alto Medioevo). Col trascorrere del tempo la componente coreana e cinese crebbe a tal punto da scalzare il primato giapponese.
Di che epoca e di quali anni stiamo parlando? Descrivere il fenomeno Wokou cerchiando col pennarello rosso un preciso lasso di tempo è sbagliato. La cosa migliore da fare è pensare alle razzie di questi individui come una costante della storia asiatica orientale, un po’ come la pirateria nel Mediterraneo, sempre esistita anche se contrastata e parzialmente messa a tacere dai vari potentati. Detto ciò, è indubbio che tra il XIV e il XVII secolo il loro nome divenne una spiacevole ricorrenza, soprattutto per le dinastie imperiali cinesi.
Come agivano? Anche qui, procedere per una generalizzazione dell’evento è quantomeno pericoloso. Per quanto gli schemi d’assalto dei Pirati Wokou fossero occasionali e per certi versi imprevedibili, grazie a studi storici approfonditi sappiamo come le basi di partenza dei primi gruppi pirateschi fossero le isole di Tsushima e Gotō (stretto coreano e arcipelago meridionale giapponese). Intorno alla fine del ‘300 particolarmente intensi furono gli attacchi Wokou sulle coste della penisola coreana. All’aggressività i coreani risposero col fuoco, nel vero senso della parola. La polvere da sparo la fece da padrona, mandando allo sbando i pirati, quest’ultimi ancora privi di una conoscenza su quell’elemento bellico così utile.
La dinastia coreana Joseon se la legò al dito. Nel 1419 andò in scena la nota “spedizione orientale Gihae“, un commando di 277 navi da guerra e più di 17.000 soldati. L’obiettivo era spazzare via ogni forma di vita (illecita) sull’isola di Tsushima; distruggere qualunque infrastruttura fosse utile ai pirati e radere al suolo i principali forti. Di quell’evento (dall’esito abbastanza scontato) restano tutt’oggi delle testimonianze archeologiche. Il duro colpo però non abbatté completamente gli avventurieri Wokou, che crearono più di qualche grattacapo anche alla stessa Dinastia Ming (1368-1644). Quest’ultima, dilaniata dalla corruzione (volta al favore reciproco tra funzionari imperiali e Pirati Wokou), non riuscì a debellare il fenomeno. Anzi, se pensiamo che durante il XVI secolo il 70% dei predoni era costituito da cinesi, si può dire che il Dragone lo favorì.
Come termina la storia? Provvedimenti militari Ming e soppressione violenta praticata dall’autorità shogunale Tokugawa decretò l’irreversibile declino piratesco. Già dalla seconda metà del Seicento non si avevano più notizie su imponenti assalti, cosa comune fino a poco tempo prima. L’interesse per questa parte di storia dell’Asia Orientale deriva proprio dal famigerato nome che i Wokou vantarono per secoli e secoli. Il loro dominio quasi incontrastato sui mari diede vita ad una leggenda, un racconto epicizzato che non svanì con essi ma proseguì la sua strada, arrivando fin sotto i nostri occhi.