Una piccola pistola Mauser puntata sul cuore e il grilletto che scorre; il colpo squarcia il silenzio di un Cremlino che all’alba del 9 novembre 1932 ancora non può dirsi davvero sveglio. Quel singolo proiettile pone fine alla vita di Nadežda Sergeevna Allilueva, che per molti risulta essere una perfetta sconosciuta, volutamente “oscurata” dalla volontà di Stalin. Sono davvero pochi, persino nella stretta cerchia dell’uomo d’acciaio, a conoscere la vera identità di “Nadja”. Quella fredda mattina di novembre si spense la seconda moglie di Iosif Stalin, momento culminante di un vorticoso trascorso che nelle seguenti righe voglio raccontarvi. Iniziamo.
Nadežda Sergeevna Alliluyeva nacque a Baku il 2 gennaio 1901. Figlia di un operaio e di una casalinga, Nadja condivise i piccoli spazi della modesta abitazione con altri tre fratelli, tutti e tre più grandi di lei. Mentre lei cresceva in un’ambiente tutt’altro che semplice – anche se il padre alla fine del giorno riusciva a portare la pagnotta a casa – un precocemente adulto Iosif Vissarionovič Džugašvili cercava di inserirsi nelle pieghe rivoluzionarie della politica, tra lavoretti in un osservatorio e continui arresti.
Ma se c’era una cosa che il caro Iosif sapeva fare bene all’epoca era evadere dai centri detentivi. Nel 1908 il ragazzotto georgiano, ricercato dall’Ochrana, riuscì a trovare rifugio nella casa di un fabbro operaio presso San Pietroburgo. Ecco, quel fabbro, convinto fino al midollo della causa socialista e della necessità di una rivoluzione, era il padre di una piccola Nadežda. Così avvenne il primo incontro tra i due, seppur fugace. Il destino avrebbe combinato un secondo appuntamento.
Fino al 1917 Stalin trascorse i suoi giorni recluso in Siberia. Nadja crebbe forte, decisa, anche ostinata. Studiando in un ginnasio si avvicinò alla causa bolscevica e quando l’autocrazia zarista implose, lei si fece trovare pronta. Grazie ad una notevole capacità d’adattamento e soprattutto grazie alle conoscenze maturate in quegli anni tutt’altro che tranquilli, la giovane Alliluyeva divenne segretaria dei principali leader bolscevichi, anche dello stesso Lenin. Nel 1918 Stalin e Nadja si incontrarono di nuovo. Lei vide in lui un eroe, e in effetti per la Rivoluzione il georgiano fece tantoo, vincendo i bianchi sul Volga e spazzando l’incaponita ma sbandata resistenza zarista. Stalin poi era vedovo da moltissimo tempo (perse la prima moglie nel 1907). Le carte in tavola per un matrimonio furono disposte e i due effettivamente si unirono in nozze, anche se riservatissime e prive di qualunque celebrazione.
Nadežda Alliluyeva (che mantenne il nome, in virtù di una riservatezza imposta dall’alto) continuò a lavorare per il partito, seppur Stalin non apprezzasse quell’intraprendenza. Infatti nel 1921 una lettera proveniente dal comitato esecutivo centrale esonerò Nadja dagli impegni d’ufficio. Lei proprio non si spiegò l’allontanamento – poi tramutatosi in espulsione – e chiese al marito i motivi di quella decisione. Stalin sapeva, anzi, secondo gli storici era egli stesso il “motivo” della decisione. Nonostante tutto l’allora segretario generale del comitato centrale fece finta di nulla e non fornì le dovute spiegazioni.
Nadežda fu confinata entro le mura domestiche a svolgere il lavoro della madre. Ebbe in quegli anni il primo figlio, Vasilij Iosifovič (1921-1962), ma non fu l’unico “nuovo arrivato”. Il dittatore aprì le porte di casa al figlio di primo letto, di soli sei anni più giovane della seconda moglie, e al figlio di un caro amico venuto a mancare accidentalmente. La condizione mentale di Tatka – il nome con il quale Stalin era solito rivolgersi alla seconda moglie nei rari momenti d’affetto – peggiorò a vista d’occhio. Nel 1924 il partito la riaccolse e lei cercò di ricostruirsi una nuova carriera in qualità di ingegnere presso l’Accademia industriale di Mosca. Nel 1926 nacque la secondogenita Svetlana Iosifova (1926-2011).
Ma la testa della donna sembrava essere altrove. Nadežda alternava momenti di lucidità ad altri di instabilità (la figlia li definirà in futuro come “attacchi schizofrenici”). I numerosi aborti affrontati e il ruolo marginale oramai rivestito non aiutarono. Tra la fine degli anni ’20 e l’inizio del decennio successivo, i rapporti tra marito e moglie si deteriorarono ulteriormente. Il Segretario generale dell’URSS si sentiva sempre più ostacolato da nemici immaginari o presunti tali. Non riusciva ad intravedere la completa collettivizzazione dell’agricoltura sovietica, cosa alla quale lavorava da un po’. La tensione politica per osmosi comprometteva la relazione privata, intima. Forse Nadja maturò in quel momento anche l’idea di lasciare il consorte.
Con queste premesse giunse l’8 novembre 1932. La sera andò in scena una cena di gala per festeggiare i 15 anni dalla vittoria della Rivoluzione. Non poterono mancare i principali gerarchi sovietici, così come non mancò l’alcol. Stalin quella notte sembrava particolarmente “interessato” alla moglie di un tenente che guarda caso qualche anno dopo morirà per via delle purghe. Nadja notò quell’atteggiamento ed ebbe da ridire, salvo poi tornare sulle sue posizioni per non rovinare l’atmosfera. Eppure quando il marito propose un brindisi, tutti alzarono il calice, tutti tranne un’infastidita Nadežda Alliluyeva. Calò il gelo nella sala; Stalin gettò qualcosa addosso la donna, forse una scorza d’arancia, forse un mozzicone. Nadja rimase interdetta e con i nervi a fior di pelle si congedò, scegliendo di ritirarsi nelle camere del Cremlino, non prima di aver cercato il conforto dell’amica Polina Zhemchuzhina.
E poi l’alba del nuovo giorno portò con sé la scoperta del suicidio, subito denunciata dai camerieri del palazzo. Stalin, che forse trascorse la notte in compagnia di quella donna adocchiata, quando seppe della dipartita di Nadja si commosse. L’organo stampa comunicò al mondo sovietico la morte per appendicite di Nadežda Sergeevna Alliluyeva. Il popolo conobbe solamente allora l’identità di quella donna. Nadja dal 12 novembre 1932 riposa nel cimitero di Novodevičij, tra poeti, artisti e personaggi illustri. Il dramma per lei fu uno ed uno soltanto, essere la moglie di un uomo come Stalin.