Il cannone, un’arma devastante dal tardo Medioevo fino alla Grande Guerra, ma anche atroce mezzo di esecuzione, simbolo di un terrore conquistatore e dominante come può esserlo quello del colonialismo. Vi avvisiamo, se siete deboli di stomaco, non proseguite oltre, perché oggi tratteremo una tematica che definire disturbante sarebbe riduttivo.
Sebbene l’esecuzione col cannone risulti essere una costante nell’arco temporale precedentemente citato, si raggiunge il picco massimo durante il XIX secolo. Qualcuno potrebbe chiedersi: per mano di chi? Ma che domanda sciocca! Ovviamente l’indice ricade sull’Impero coloniale inglese, il quale non si risparmiava in termini di violenze brutali quando si trattava di far rispettare la legge (britannica) in luoghi lontani migliaia di chilometri dall’isola madre. Detto ciò, questo consueto tipo di condanna non fu affare esclusivo dei sudditi di Sua Maestà…
Anche i rappresentanti dell’Império Português si lasciarono ammaliare dal fascino del cannone dal XVI al XVII secolo circa. Non importa il luogo preso in esame, dal Brasile fino allo Sri Lanka, passando per il Mozambico, si potevano sentire le cannonate della morte. Esistono ovviamente vittime note di questa indicibile pena: Jean Le Vacher, missionario vincenziano e console francese presso Algeri durante gli anni in cui il popolo nordafricano vedeva cadere grappoli esplosivi un giorno sì e l’altro pure. Il contesto è quello delle lotte barbaresche del 1682-83. Ecco, fu un cannone algerino a spedire nell’altro mondo il diplomatico transalpino.
L’attentissimo cronista inglese George Carter Stent, il quale presumibilmente fu testimone oculare dell’esecuzione, ce la descrive così: “Il prigioniero è generalmente legato a un cannone con la parte superiore della schiena appoggiata alla sua bocca. Quando il cannone fa fuoco si vede la testa che salta in aria per circa 10 metri, le braccia volano via a destra e sinistra e cadono a decine di metri di distanza; la gambe si accasciano a terra sotto la bocca del cannone, mentre il corpo è letteralmente spazzato via, non ne si vede più traccia“.
Bene, Mr. Stent era inglese ed è proprio sugli inglesi che vogliamo concentrarci in quest’ultime battute. Nel 1857 scoppiarono i cosiddetti Moti Indiani attraverso i quali si manifestò la chiara volontà del popolo di liberarsi dall’oppressione dell’East India Company, fautrice degli interessi commerciali britannici in giro per il mondo. Interessi di stampo coloniale che cozzavano con il quieto vivere dei locali. Semplice ordinarietà, giustappunto. Per reprimere quel dissenso, tra il 1857 e il 1858 le giubbe rosse condannarono al cannone migliaia di rivoltosi.
Uno spettacolo macabro, che rappresenta a pieno il binomio del colonialismo europeo durante tutta l’epoca moderna e quella contemporanea. Civili a casa, autori di barbarie lontani dai riflettori dell’opinione pubblica. Ah, nel caso qualcuno tra voi si stesse chiedendo se l’esecuzione col cannone sia ormai passata di moda, vi anticipiamo con un secco “No”. A quanto pare nella ridente Corea del Nord dell’amichevole e per nulla instabile Kim Jong-un hanno preso appunti dall’esperienza colonialista appena raccontata. Perché alla fine tutto il mondo è paese, giusto?