Vice-Primo ministro della Repubblica Socialista di Romania, First lady, politica, scienziata, chimica, autrice di studi accademici, impostora. Cosa non fu Elena Ceaușescu? Come promesso nell’articolo dedicato al Conducător, oggi approfondiamo la biografia dell’altra mente del regime comunista rumeno. Colei che si distinse in svariati campi dello scibile umano, pur sapendo poco o nulla. In poche parole, questa è la storia della donna più odiata in Romania.
Lenuța Petrescu, poi Elena, nasce il 7 gennaio 1916 in Valacchia, nel piccolo villaggio di Petrești. Di origini contadine, la famiglia garantisce alla ragazza un’istruzione fino al quarto anno delle elementari, che non conclude. Ancora giovanissima, Elena si trasferisce nella capitale Bucarest, dove trova lavoretti di fortuna e ripieghi temporanei, assimilando al contempo le parole d’ordine dell’attivismo politico. Gli ideali social-comunisti travolgono lei come tanti altri della sua età. Il 1939 è l’anno cardine della sua vita: Elena incontra Nicolae, al tempo capo dell’Unione della Gioventù Comunista, è amore a prima vista. I due si sposeranno 7 anni dopo, ma la moglie, a differenza del marito, non sgomiterà per farsi notare dall’opinione pubblica almeno fino al 1965, anno in cui Nicolae diviene segretario generale del partito comunista rumeno.
L’anonimato sta stretto allo spirito scaltro e ambizioso della “compagna Ceaușescu” (tovarăş in rumeno). Sfruttando la definitiva consacrazione politica del coniuge, lei scala in poco tempo i ranghi del partito: nel 1968 come membro del Comitato municipale di Bucarest, nel 1972 membro del Comitato centrale e ancora nel 1973 esponente di spicco del Comitato esecutivo. Sin qui solo date e promozioni, ma nel regime Elena si distinse come eminenza grigia per antonomasia. Nel ’66 dietro le leggi contro il divorzio e l’aborto (colonne dell’ideologia sociale sovietica) ci fu il suo zampino. Così come fu la volontà della First lady rumena a far aumentare la pressione fiscale sulle famiglie con meno di quattro figli. L’incentivo alla natalità si risolse in un volano a danno delle già disastrate condizioni economiche della popolazione, soprattutto rurale.
Elena esercitò un’influenza notevole sulle decisioni del presidente Ceaușescu in campo finanziario ed economico. Si dice fosse una sua trovata quella di sanare il debito estero – contratto con istituti di credito internazionali in cambio di ingenti stanziamenti per tramutare la Romania socialista da paese agricolo e contadino quale era in forza industriale – attraverso una massiccia esportazione di beni agricoli ed alimentari. La linea autarchica risanò il debito di 10 miliardi di dollari, è vero, come è vero che ridusse alla fame e all’indigenza circa l’80% delle famiglie.
Non finisce qui: gravissima è, a mio modesto parere, la decisione di non affrontare l’epidemia di AIDS che tra il 1987 e il 1988 coinvolse migliaia di bambini negli istituti per orfani. L’allora vertice della Commissione per la Salute, ossia Elena Ceaușescu, bollò l’infezione da Hiv come una “malattia tipica della decadenza occidentale”. L’ignoranza e l’indifferenza provocarono la morte di diverse centinaia di bambini negli orfanotrofi romeni. Altro aspetto rivelatore dell’identità di Elena fu il culto della personalità che impose ai suoi concittadini e compagni. In qualunque documento ufficiale il nome del Conducător non poteva apparire se non affiancato da quello della First lady. Medesimo discorso valeva per le fotografie: se c’era Nicolae, Elena non poteva e non doveva mancare. L’adorazione valicò i confini dell’ordinario, scaturendo in qualcosa di mai visto prima, neppure ad est della Cortina di Ferro.
Madame Ceaușescu (come presero a chiamarla i tanti detrattori rifugiati all’estero) scelse per sé una sequela di onorificenze e titoli altisonanti a dir poco. Assurdo pensare che per quanti fossero, uno dei principali quotidiani nazionali, lo Scînteia, dovesse dare alle stampe ben due numeri per contenerli e pubblicarli tutti in breve tempo. Ne citiamo alcuni solo per dovere di cronaca, ma si potrebbe scrivere un libro sulla creatività degli epiteti: “Eroica combattente del Partito per il glorioso destino della Romania”, “Madre della Patria”, “Fiaccola del Partito”, “Grande esempio di devozione e passione rivoluzionaria”.
Dietro i mille vestiti e le infinite pellicce (così tante da doverle stipare in un’intera sala del Palazzo Primaverii di Bucarest) si nascondeva una scienziata… Chi l’avrebbe mai detto? Qui si apre un capitolo davvero controverso della storia di Elena, una questione ancora oggi dibattuta in Romania per quanto riguarda l’ambito accademico. Sì, perché non può far altro che generare polemiche e contestazioni il fatto che una donna come lei, forte di una quarta elementare e di qualche corso serale integrativo in chimica presso l’Università Politecnica di Bucarest, diventasse dall’oggi al domani la più eminente personalità dell’Istituto nazionale di ricerca chimica e petrolchimica (ICECHIM).
Appropriandosi di lavori e ricerche altrui, apponendo la sua firma in postulati teorici di cui non conosceva neppure il retroterra scientifico, la signora Ceaușescu, da impostora fatta e finita, si spacciò per una brillante mente capace di disquisire su quasi ogni assunto dello scibile umano. Ella costrinse addirittura il suo entourage a ricercare con insistenza qualunque tipo di occasione che le avrebbe garantito l’onore del riconoscimento accademico. In sostanza, ci fu un periodo in cui questa donna, nel campo della chimica e dei polimeri (che a malapena sapeva cosa fossero, come sostengono scienziati tutt’oggi attivi), accumulò un numero esorbitante di lauree honoris causae.
Ci si potrebbe chiedere perché? Che senso aveva esagerare in questa specifica direzione? Ok, l’evoluzione scientifica era alla base dell’ideale comunista in quanto propulsore di uno sviluppo industriale, economico e di conseguenza sociale. A ciò si aggiunga il fatto che nella Romania dell’epoca l’aurea dell’acculturato ammantava di rispetto e riverenza massima. Ma bastano come argomentazioni? Probabilmente no, quel che è certo è che quasi nulla di ciò che portava la firma della seconda persona più potente della Romania era in realtà farina del suo sacco. Restò indelebile, al contrario, il suo sfrontato agire sulla pelle di una nazione che nell’89 trovò, quantomeno, la libertà di esprimersi.