Incompreso eppure geniale, disprezzato in un primo momento, osannato negli anni a venire, El Greco (1541-1614), nato Domínikos Theotokópoulos, ha letteralmente segnato un’epoca, la sua, con una sensibilità artistica innovativa e travolgente, capace di instillare nello spettatore il seme della riverenza, dell’ossequio religioso o del disgusto. Dipende dalle corti e dai rispettivi punti di vista. Per il tempo in cui visse, generò scalpore con quelle anatomie così irrealistiche poiché sproporzionate, per non citare in causa i colori vibranti o le scene drammatiche presentate, le quali andavano a scalfire la soglia tra spiritualismo e misticismo. E che dire allora dell’uso del chiaroscuro, di cui tanto si deve alla formazione veneziana…

Controverso, questo l’aggettivo che meglio calza sulla persona di El Greco, massimo rappresentante artistico del Siglo de Oro, esponente di spicco del tardo Rinascimento Spagnolo, volto riconoscibilissimo del panorama pittorico a cavallo tra Cinque e Seicento. Non pochi critici dell’arte osano elevare la figura del pittore cretese a precursore inconsapevole di movimenti artistici nati o affermatisi tra il XVIII e XX secolo, dal Romanticismo all’Espressionismo. Ma è davvero così? Non ci resta che scoprirlo analizzando El Greco in 3 opere.
1 – Cacciata dei mercanti dal tempio, 1568-70.
Se nascevi in Grecia, eri un buon pittore con altrettanto buone aspirazioni, allora non potevi esimerti dal far tappa a Venezia, polo attrattivo di primaria importanza per chiunque volesse affermarsi in quel mondo. El Greco non fece eccezione e come tanti altri si presentò in laguna desideroso di imparare, replicare e, perché no, affinare la sua tecnica. Tutti elementi ravvisabili nella Cacciata dei mercanti dal tempio, da molti esperti considerata l’opera emblematica del periodo italiano di El Greco, durato all’incirca un decennio, dal 1567 al 1577. L’olio su tavola è l’esempio perfetto di come il pittore nato a Creta assorba gli insegnamenti dei più autorevoli maestri italiani attivi all’epoca. Si citino i vari Tintoretto, Tiziano, Michelangelo o Raffaello.

L’opera rappresenta uno degli episodi più intensi del Nuovo Testamento, quando Gesù scaccia i mercanti dal tempio di Gerusalemme, accusandoli di aver trasformato la casa di Dio in un “covo di ladri”. C’è un po’ tutto nel dipinto: drammaticità e dinamismo, scelte cromatiche volutamente contrastanti, le forme allungate, tratto caratteristico del pittore. Del dipinto esistono quattro versioni, realizzate in momenti diversi della vita di El Greco. Ciò a testimonianza di quanto tenesse alla tematica. La versione qui descritta presenta una particolarità: in basso a destra potete notare quattro figure fra di loro vicine. Sono Tiziano, Michelangelo, Giulio Clovio e Raffaello. Quattro nomi fondamentali per la formazione pittorica del cretese. Nonostante l’evidente influenza, El Greco si dimostrò sempre spietato nel ricordare i suoi “vecchi maestri“, sostenendo non ne capissero nulla di arte…
2 – Sepoltura del conte di Orgaz (El Entierro del conde de Orgaz), 1586.
Conservata nella Chiesa di Santo Tomé di Toledo, in Spagna, l’opera è ritenuta essere il frutto della piena maturità artistica di El Greco. Prima dell’analisi tecnica, è giusto spendere due parole sul soggetto del dipinto. Il conte di Orgaz visse due secoli prima del pittore e fu per la città di Toledo una specie di sindaco. Egli impose una tassa a tutti i cittadini per poter commissionare le decorazioni della Chiesa di San Tommaso (Santo Tomé). Nel Cinquecento inoltrato la tassa gravava ancora sulle tasche dei toledani. Ciò causò non poco malcontento. Dunque il vescovo chiese al pittore di origini greca, già affermatosi in Spagna, di realizzare un’opera che ricordasse agli abitanti il bene che il conte di Orgaz fece per la comunità.

El Greco accettò l’incarico e realizzò questo enorme olio su tela (480×360 cm). Chiaramente l’intento era quello di far passare l’aristocratico come un puro benefattore, andando a giustificare la legittimità della tassa. Come fare? El Greco santificò la persona del conte di Orgaz, rappresentando la scena della sua sepoltura, avvenuta nel 1323. Ospiti d’onore alle esequie sono i santi Stefano e Agostino, giusto per far comprendere quanto il conte fosse apprezzato nelle alte sfere del Regno dei Cieli. Al di là del messaggio, va riconosciuto un enorme merito al pittore. La tela fonde il realismo spagnolo con la spiritualità manierista, in un gioco di luce, colore e simbolismo che rende l’opera una delle più potenti della storia dell’arte.
3 – L’Apertura del quinto sigillo dell’Apocalisse o Visione di San Giovanni, 1608-14.
Se non vi dicessi che la tela è del primo Seicento, scommetto che tutti la daterebbero ai primi anni del Novecento. L’Apertura del quinto sigillo dell’Apocalisse è una delle ultime fatiche di El Greco. Il titolo non lascia molto spazio all’interpretazione; si tratta della riproposizione di una scena presente nel libro dell’Apocalisse: il momento in cui il quinto sigillo viene aperto, scatenando una visione mistica. Le anime dei martiri chiedono giustizia per il loro sacrificio e ricevono vesti bianche come segno della loro attesa prima del Giudizio Universale. Tante le cose che si potrebbero dire sul dipinto. Anzitutto è incompleto (causa la morte di El Greco). La parte superiore dell’opera è andata perduta.

Inoltre balza all’occhio il tratto moderno adottato dall’anziano artista cretese. Così moderno che Picasso, Cezanne e Modigliani ne trassero diretta ispirazione per le rispettive opere. Questo ci dice molto sull’accoglienza coeva e postuma riservata ad El Greco. Messo da parte alla fine della sua vita, lo rivalutarono tra XIX e XX secolo. Questo perché egli, a differenza dei colleghi, ignorò il realismo, le leggi della fisica o della prospettiva, il gusto della proporzione. Se l’avesse fatto tre secoli dopo, sarebbe stato un genio. Purtroppo decise di farlo nel momento sbagliato, finendo nello scatolone degli artisti bizzarri, magari talentuosi, ma certamente fuori luogo.