Stiano alla larga i sensazionalisti, qui non si scherza! Quando affermo che il cotone ha cambiato in modo radicale la storia dell’umanità, lo dico lucidamente, con criterio. Pensate a dei vegetali che hanno contribuito al progresso della nostra civiltà: finirete sicuramente per nominare piante e arbusti dai quali si ricava cibo, bevande o che finiscono per assolvere compiti prettamente “ricreativi”. Sebbene il cotone non rientri in queste tre macrocategorie, ha rivoluzionato il mondo per come lo conosciamo e cercherò di dimostrarlo nelle righe che seguono.
Partiamo da lontano e puntiamo la lente d’ingrandimento sull’antichità e sul valore che il cotone assunse per i nostri più remoti avi. L’uomo coltiva diverse specie di piante di cotone (genere Gossypium, della famiglia delle Malvacee) da tempi immemori. Queste sono native di alcune specifiche regioni tropicali o subtropicali. Ma se dovessimo chiederci dove e quando esso è stato lavorato per la prima volta, cadremmo in un dibattito accademico che perdura da decenni. La lavorazione della pianta arbustiva non è solo lontanissima nel tempo, ma è comune e generalizzata, persino in civiltà tra di loro totalmente slegate.
Tuttavia possiamo ragionare su qualche dato archeologico e di conseguenza cronologico. Il più antico esempio di prodotto lavorato in cotone da noi conosciuto risale all’VIII millennio a.C. e proviene da Huaca Prieta, insediamento costiero neolitico situato in Perù. Evidenze massicce di un processo inerente coltivazione, lavorazione e commercio del cotone provengono dall’Africa nord-orientale. Nell’età antica, la città di Meroe nel Regno di Kush divenne estremamente ricca per la qualità e la quantità del cotone prodotto. La capitale nilotica raggiunse l’apice di questa specifica produzione nel IV secolo a.C. (le fonti greche sono concordi nel riconoscere a Meroe una sorta di monopolio in tal senso). Stesso discorso può essere fatto per le civiltà sorte nella valle dell’Indo e in estremo Oriente.
L’Europa è arrivata relativamente tardi. Si dice come fu l’impero ellenistico di Alessandro Magno ad importare la fibra di cotone. Prove concrete per confermare o smentire suddetta versione non ve ne sono. Al contrario esistono indizi tangibili e verificabili di quanto fosse raffinata la lavorazione della fibra tessile derivata dal cotone nel subcontinente indiano. Si sono conservate delle sgranatrici a manovella del VI secolo d.C. che aumentavano in maniera esponenziale la velocità e la qualità della tessitura. Anche solo grazie ad un simile strumento si intuisce la superiorità tecnica e tecnologica dei regni indiani durante quello che per noi era il Tardoantico.
Conoscenze che per fortuna non furono relegate alla sola India. Esse viaggiarono tanto verso est quanto verso ovest. L’Impero cinese divenne nei secoli un significativo produttore di cotone. Invece per quanto riguarda il nostro “piccolo mondo” europeo, fu grazie ai musulmani, al loro espansionismo e alle loro eccezionali competenze in campo economico e produttivo se il Vecchio Continente apprese l’arte del cotone. Quest’ultimo veniva tessuto a mano su appositi telai, ma il processo era molto lento. Ecco perché non scalzò, almeno nell’Europa medievale, lana e lino. Altro fattore che giocava a sfavore della pianta malvacea era di carattere geografico. Il clima mediterraneo era ottimale per una questione di preservazione, non si poteva dire una cosa del genere per le fredde terre del nord.
Il duo Inghilterra-Fiandre rappresentavano il vertice della produzione lanifera in Europa. Vitale per ambo le economie era la difesa di quell’interesse produttivo, economico e infine commerciale. Gli inglesi vedevano cotone e lino come concorrenti pericolosi. Il destino però sa essere ironico: Londra avrebbe rappresentato il fulcro della produzione mondiale di cotone nei secoli a venire…
Elementi topici come l’innovazione tecnologica (conoscenze importate ed emulate dall’India), una progressiva globalizzazione del commercio e l’apertura di nuovi mercati trasformarono sensibilmente la percezione che gli europei avevano del cotone. In piena età moderna diminuì il costo del bene ma aumentò la domanda. Spesso tuttavia si commette l’errore di descrivere questo mutamento economico analizzando solo uno dei fattori in gioco: quello europeo. Si dice come le economie occidentali raggiunsero l’apogeo, decretando un predominio a livello globale sulle rotte commerciali. Innegabile, ma non bisogna dimenticare come quei beni così pregiati venivano pur reperiti, lavorati e messi sul mercato da attori affatto secondari, lontani mille mila chilometri dalle corti reali nostrane.
Esempio iconico e ingiustamente trascurato è l’Impero Moghul, un’entità statale che dal 1526 al 1858 vantava un’estensione territoriale pari a tutta l’Asia meridionale. Un impero florido sotto tutti i punti di vista, non ultimo quello economico. Durante la dominazione islamica dell’India, produzione ed esportazione del cotone aumentarono vertiginosamente. Detta così non potete rendervi conto della portata della questione, dunque è necessario citare in causa un dato materiale secondo me emblematico: all’inizio del XVIII secolo, l’industria tessile Moghul rappresentava un quarto del commercio mondiale di tessuti. Il più grande centro di produzione di cotone era la città di Dacca (Dhaka se preferite) nell’attuale Bangladesh.
Con il tramonto dell’Impero Moghul e l’ascesa di quello coloniale britannico, l’enorme industria tessile del cotone ebbe un nuovo padrone su scala mondiale. Nel giro di un secolo, l’Inghilterra superò l’India come il più grande produttore di cotone al mondo. Esso veniva ottenuto a basso prezzo dall’India (facile intuire il perché…), lavorato nelle fabbriche si Sua maestà e poi distribuito ove necessario. Disponibilità di materia prima che combaciò con la ricerca tecnologica. Negli anni ’60 del Settecento tutto cambiò: con l’introduzione della spinning jenny (giannetta in italiano) e la conseguente prima Rivoluzione industriale, Londra divenne il centro del mondo. Chiaramente non fu tutto merito del cotone, ma in buona parte sì.
Il cotone rappresentava la “prima linea” della trasformazione industriale inglese. La sua versatilità superò quella della lana. La sua facilità di lavorazione lo fece preferire al lino. Per via del suo prezzo accessibile, la seta venne surclassata. Il cotone divenne onnipresente, tanto per i più facoltosi quanto per i meno abbienti. Dalla terra d’Albione agli Stati Uniti d’America il passo fu breve. Gli States meridionali, sfruttando manodopera a costo zero (leggasi schiavitù), fecero del cotone la principale economia, mettendo in secondo piano quella del tabacco, sino ad allora di primaria importanza. Nella prima metà dell’Ottocento la fascia di territorio che dal Maryland andava al Texas orientale (“Cotton Belt”, ovvero “Cintura del Cotone”) si fregiò del record produttivo globale.
Da lì in poi nel corso dei decenni lo scettro di maggior produttore se lo passarono di mano Giappone, ancora Inghilterra, Cina, USA e così via. Oggi la classifica è dominata dai paesi appena citati, con l’aggiunta dell’India e del Brasile. La storia del cotone è, in un certo senso, la storia dell’uomo. La sua importanza è innegabile ed ecco perché ho sentito la necessità di specificare come questa pianta, forse più di altre, ha cambiato sensibilmente il processo evolutivo della civiltà umana.