Goffi e teneri come poche altre cose al mondo, i panda possono regalarci un sorriso anche nelle giornate più grigie. Andarli a vedere negli zoo è un’esperienza quantomeno peculiare, resa possibile – e forse non lo sapevate – non tanto dalla disponibilità economica del parco zoologico in questione, ma da una gentile concessione della Cina. Non avete letto male, è proprio così; nei seguenti paragrafi comprenderemo come ciò sia possibile, quando l’idea sia nata e perché, tra il secolo passato e quello corrente, la strategia di Pechino possa dirsi, nonostante tutto, ancora vincente. Vi presento, in tutta la sua coccolosa spietatezza, la “Diplomazia dei panda“, l’arma segreta della Cina.
Per diplomazia dei panda (dall’inglese Panda Diplomacy, dunque al singolare) s’intende una specifica strategia posta in atto da Pechino almeno a partire dai primi anni ’40 del XX secolo, la quale prevedeva, e prevede ancora oggi, il prestito di panda come strumento diplomatico volto a rafforzare la propria immagine internazionale. La Repubblica Popolare Cinese nasce ufficialmente nel 1949; non esattamente un evento accolto con gioia e soddisfazione da ogni lato del globo. Il gigante asiatico, nella sua accezione comunista, decise allora di stabilizzare la propria posizione facendo leva su una delle sue risorse più preziose: i panda.
Se è vero che il nome ad effetto Panda Diplomacy sia un frutto del marasma di metà Novecento, l’atto in sé affonda radici in tempi leggermente più remoti. Esistono documenti risalenti alla dinastia Tang (618-907) che attestano il dono di panda giganti a dignitari in visita presso la corte imperiale.
Tornando alla contemporaneità, c’è da dire come i primi panda cinesi divennero metaforicamente un ramo d’ulivo da inviare ai paesi ideologicamente e politicamente vicini al regime di Mao Zedong. I primi Stati a beneficiare della strategia diplomatica cinese furono la Corea del Nord e l’Unione Sovietica. Invece per quanto riguarda i paesi del cosiddetto “blocco occidentale”, gli apripista furono gli Stati Uniti d’America sotto la presidenza Nixon.
La storica visita di Richard Nixon in Cina nel febbraio del 1972 rappresentò un momento cruciale della storia recente. Il riavvicinamento dei due paesi dopo oltre due decenni di reciproca diffidenza – se non aperta ostilità – andava suggellato con un generoso atto formale. Nella classica cena tra le delegazioni, la first lady Pat Nixon asserì quanto amasse i panda. Il corpo diplomatico cinese si mostrò felice nell’inviare una coppia di esemplari negli States. Washington rispose a tono, facendo viaggiare verso l’estremo oriente due buoi muschiati.
Si chiamavano Ling-Ling e Hsing-Hsing i panda che nel 1972 atterrarono sul suolo a stelle e strisce. Rispettivamente una femmina e un maschio, madre e padre di cinque cuccioli (i quali purtroppo non sopravvissero fino all’età adulta). Ling-Ling e Hsing-Hsing furono due dei 24 esemplari che Pechino spedì in giro per il mondo dal 1957 al 1983. Tra i paesi beneficiari più importanti del panorama mondiale si citino il Regno Unito e il Messico.
Nel 1984 la diplomazia dei panda subì un contraccolpo, dovuto alle nuove politiche intraprese da Deng Xiaoping, il successore di Mao ufficiosamente dal 1976, ufficialmente dal 1978, anno in cui ottenne la presidenza della Repubblica Popolare. La Cina trasformò quello che prima era un regalo in prestiti contrattualizzati. Il primo esempio di prestito oneroso andato in porto riguardò, ancora una volta, la linea Washington-Pechino. In occasione delle Olimpiadi losangeline dell’84, gli USA chiesero ed ottennero il prestito di due panda per un paio di mesi. L’operazione costò la bellezza di 50.000 dollari statunitensi al mese per animale.
Spese che potranno sembrare esorbitanti ma che trovano giustificazione nello stato conservativo oltremodo delicato della specie. Sul tramontare degli anni ’80 esistevano non più di 1.800 panda giganti in natura, la quasi totalità dei quali vivevano nelle aree verdi della Cina. Oggi la pratica sussiste ed è anzi divenuta ancor di più uno strumento a vantaggio della politica estera cinese. L’arma segreta, come la si è voluta chiamare pocanzi, che solo la Cina di Xi Jinping possiede e che può, in alcuni casi, ritornare più utile che mai.