Scipione Cicala è il nome di battesimo, ma l’uomo di cui voglio raccontare la storia quest’oggi era noto ai contemporanei come Cığalazade Yusuf Sinan Paşa. Il doppio nominativo è già di per sé un indicatore di quello che ci aspetta. Nato a Messina in un anno non meglio precisato tra il 1545 e il 1552, Scipione è figlio del visconte Vincenzo Cicala. Il visconte fu a sua volta un fedele alla casa dei Doria. Sangue blu genovese scorreva nelle vene del nostro protagonista, la cui madre, tra le altre cose, era montenegrina di fede musulmana. Segno del destino, vedremo tra poco perché.
Durante un viaggio che dalla Sicilia li avrebbe condotti in Spagna, il visconte e suo figlio furono fatti prigionieri dalla marina ottomana. Ciò nel 1560, quando Scipione era poco più di un bambino, o al massimo un adolescente. In qualità di schiavi i due giunsero a Costantinopoli, dove il padre riuscì a pagare il riscatto, solo ed esclusivamente per se stesso. Scipione si trovò di fronte ad un bivio: morire da prigioniero, forse come rematore in qualche squallida galera, oppure abiurare il Cristianesimo, abbracciando l’Islam ed entrando a far parte del celeberrimo corpo dei Giannizzeri. La seconda strada sembrò più conveniente.
Non ci volle molto prima che il convertito nato a Messina ma di origini liguri scalasse i ranghi del corpo militare ottomano. Divenne così Silahtar Agha, in pratica un alto funzionario di corte, le cui scelte avevano un forte valore politico nonché militare. Voci di corridoio affermavano all’epoca come Cağaloğlu Yusuf (altro nome turco) avesse fatto colpo sull’allora sultano Solimano il Magnifico grazie alla sua bellezza e prestanza fisica.
Non ci è dato conoscere il grado di verità dietro questa diceria. Resta il fatto che anche al figlio del sultano, il successore Selim II, Scipione fu simpatico fin da subito. A sugellare lo stretto legame tra l’Agha e il sovrano ci fu un doppio matrimonio. Scipione si sposò con due nipoti di Selim II, prima nel 1573 e successivamente nel 1576. In poco tempo l’ex cristiano poté dirsi detentore di una carica prestigiosa, a dir poco ricco e protetto dalla Sublime Porta. What else?
Durante la Guerra ottomano-safavide (1578-90) il fu Scipione Cicala si distinse nuovamente come abile condottiero. Le vittorie militari – una su tutte, la conquista della fortezza persiana di Tabriz, nel 1585 – gli valsero la promozione al grado di beylerbey di Van (governatore generale) e visir di Erevan, in Armenia. Terminato il conflitto, la scalata al vertice (eccezion fatta per il privilegio sultanale, ovvio) non si fermò mica. Oramai Scipione godeva di uno status invidiabile, frutto però delle sue spiccate doti militari. Queste gli valsero il Gran ammiragliato della flotta ottomana (Kapudanpaşa), titolo con il quale si presentò in grande stile sulle coste meridionali d’Italia, non certo per commerciare. Soverato, Cirò Marina e Reggio non hanno un buon ricordo di lui, per utilizzare un eufemismo.
Dalle coste calabre il visir Cığalazade Yusuf Sinan Paşa volse le proprie attenzioni sulla terra magiara, all’epoca teatro di sanguinosi conflitti tra Impero Ottomano e Casa d’Asburgo. Accompagnò il nuovo sultano Mehmed III, dando ennesima prova di una rinomata intelligenza bellica. Tra 1596 e 1597 conquistò le città-fortezze di Hatvan e di Eger. Sorprendentemente ribaltò l’esito di una battaglia che sembrava persa, quella di Keresztes. Il gesto, sommato alla fedeltà dimostrata e al perenne impegno sul campo, gli valsero la carica delle cariche: l’ex schiavo divenne Gran visir.
Ora, piccola digressione: essere Gran visir significava più o meno ricoprire il ruolo di Primo ministro dell’impero. Ogni scelta che avesse a che fare con la gestione statale passava dal Gran visir, irrevocabile se non dalla persona del sultano. I più grandi tra coloro che ebbero l’onore e l’onere di rivestire questa carica si distinsero per due caratteristiche: pazienza e propensione alla mediazione. Ecco, Scipione Cicala poteva sì considerarsi un grande generale, ma di certo non un mediatore altrettanto valido. All’esordio, ordinò un più rigido disciplinamento militare, che talvolta creò dissenso tra le fila dell’esercito. Inoltre, rimarcando quella distanza ideologica dal compromesso, represse nel sangue una delle tante sollevazioni tatare in Crimea. Il fatto generò non poco malcontento.
A ciò si aggiunsero degli intrighi politici che non è importante approfondire ma che destabilizzarono immediatamente la figura di Scipione. Il ritorno di fiamma del precedente Gran visir e la sfiducia di un’ampia ala della corte costrinsero il messinese di nascita a rinunciare alla carica dopo soli quaranta giorni dall’assunzione della medesima (in realtà venne deposto dallo stesso Mehmed III). Iniziò quindi il rapido declino.
Seguirono alcune scorrerie nuovamente in Calabria, ove però trovò solo che disfatte. Il sapore della sconfitta divenne sempre più una triste ed inesorabile costante. Il capitano turco-genovese, inviato sul fronte bollente con la Persia, combatté e capitolò nei pressi di quella Tabriz che in passato era stato uno dei più fulgidi trampolini di lancio per la carriera di Cağaloğlu Yusuf Sinan Kapudan Paşa. Durante la ritirata delle sue truppe in direzione Diyarbakır, nel 1605 egli morì di morte naturale. Istanbul conserva l’eredità di questo uomo nato italiano e spentosi turco: Cağaloğlu è oggi il nome del quartiere dove sorgono molte redazioni giornalistiche, noto altresì come “cuore della stampa” di Istanbul. In loco Scipione fece edificare un palazzo personale e un hammam (complesso termale), tutt’ora visitabili.