Storia Che Passione
Corinto brucia Roma "vendica Troia

Corinto brucia, Roma “vendica” Troia

Dov’è la tua mirabile bellezza,
o dorica Corinto? E le corone
delle tue torri e le antiche ricchezze,
i templi degli dèi, i tuoi palazzi? Dove le tue donne,
dove le folle immense del tuo popolo?
Nemmeno un segno rimane di te,
infelicissima! Divorò tutto
a rapina la guerra. Solo noi
Nereidi, figlie di Oceano, immortali,
come alcioni, siamo rimaste a piangere
le tue sventure
.

Quelle che avete appena letto sono le raggelanti eppure potentissime parole della “poesia delle rovine”, composizione di Antipatro di Sidone (170-100 a.C.) destinata ad avere un’immensa fortuna letteraria. La traduzione dell’originale epigramma – per la quale bisogna ringraziare l’ispiratissimo Salvatore Quasimodo – non fa nulla per celare la disperazione provata da un uomo che, a suo tempo, ebbe modo di saggiare lo splendore della più mirabile delle città elleniche, Corinto. Bagliore di un mondo che fu, perché a seguito della campagna acaica del 146 a.C. di quella realtà fastosa non rimase che lo spettro. Bruciando la creatura del mitologico Sisifo, la Repubblica romana “vendicava” Enea, principe di quella Troia sconfitta più di mille anni prima dagli odiati Achei. Dalle romantiche premesse passiamo al dato concreto chiedendoci in primo luogo: come si arrivò ad un evento tanto catastrofico?

Corinto brucia Roma "vendica Troia

Facciamo il classico passettino indietro della durata di cinquant’anni. Terminata la seconda guerra macedonica (200-197 a.C.), Roma aveva reciso ogni speranza di re Filippo V di estendere il proprio dominio sulle poleis greche. Quest’ultime alimentarono ancor di più in un processo (già in essere da un po’) di tipo confederativo. Ne venne fuori in questo modo la Lega achea. Il nome, inizialmente una spia sulla natura della coalizione, divenne ben presto obsoleto. Infatti alle città dell’Acaia se ne aggiunsero altre, anche di maggior rilievo, che in poco tempo assursero a dominatrici. Si pensi a Tegea, Megalopoli, addirittura Sparta ed infine Corinto.

Dopo aver schiacciato nuovamente il Regno di Macedonia e il suo nuovo sovrano Perseo (qui l’approfondimento sulla battaglia di Pidna) Roma si autoproclamò liberatrice della Grecia e prima barriera a difesa delle proposte libertarie e democratiche delle poleis. Tutta propaganda, in realtà la Res publica assecondava ora una lega ora l’altra per estendere la propria influenza (e poi dominio) sulle regioni elleniche. Il gioco di alleanze messo in piedi da Roma favorì in un primo momento la stessa Lega achea. Eppure quest’ultima si rivoltò quando le attenzioni di Roma si riversarono sull’allora rivale Sparta. Fu così che la Lega achea, fomentata da demagoghi “nazionalisti” (passatemi il termine improprio per sua natura), dichiarò guerra ai lacedemoni. Vien da sé che questa, agli occhi del Senato, appariva come un deplorevole affronto, al quale dove rispondere con pugno duro.

Corinto cartina Grecia dopo Seconda Guerra Macedonica

Gli agitatori greci riunirono un eterogeneo esercito a Corinto, capitale economica e commerciale della Lega. Secondo le fonti antiche (Polibio, Pausania e in parte Diodoro e Cassio Dione) attorno alle forze elleniche riunitesi a Corinto si coagulò un enorme (e forse ingiustificato) entusiasmo. Al di qua delle delle mura era stato raggruppato il bottino di guerra e le famiglie degli stessi soldati erano accorse pensando di poter vedere i loro eroi infrangere le fila romane. Non sappiamo davvero fino a che punto i greci sottovalutarono il potenziale romano, ma una cosa la sappiamo per certa: quando i legionari comandanti dal console Lucio Mummio si scontrarono con l’esercito acaico nel 146 a.C. l’esito della battaglia fu netto come non mai. I soldati repubblicani schiacciarono come un rullo compressore le esigue forze greche. I pochi sopravvissuti si ritirarono entro le mura della città, attendendo il peggio.

Corinto rilievo ispanico legionari II secolo a.C.

Pausania narra come un comandante acheo, Deio, fuggì a Megalopoli accompagnato da sua moglie. Dopo aver informato tutti della disfatta, tragicamente si uccise, non prima di aver strappato la vita all’amata, per non farla cadere nelle mani dei “barbari“. Ci mise due giorni Lucio Mummio per entrare a Corinto, nonostante le porte aperte e una popolazione in gran parte datasi alla fuga. Il console credeva che i greci avessero preparato un’imboscata, ma nulla di tutto ciò si verificò. Una volta dentro i romani devastarono case, templi, edifici pubblici. Si innalzarono alte le fiamme. Lo scempio impressionò i coevi, increduli di fronte alla “rozzezza” con la quale i legionari approcciarono le mirabili opera d’arte greche. Tradizione letteraria vuole che molti soldati, insensibili di fronte ad alcune tele trovate all’interno dei luoghi di culto, le trasformarono in piani sui quali giocare a dadi.

Lucio Mummio ordinò l’uccisione di quasi tutti i prigionieri maschi e la schiavitù per donne e bambini. La caduta di Corinto doveva essere un esempio, anzi, un monito contro le altre città greche restie a chinare il capo. Il valore strategico della conquista del 146 a.C. fu enorme. Grazie alla cittadella si accedeva facilmente al Peloponneso. I porti situati alle due estremità dell’istmo garantivano il controllo sulla principale rotta commerciale tra Europa e Asia Minore.

Corinto Lucio Mummio console

Andando oltre la trasposizione letteraria dell’episodio, edulcorata sotto molti punti di vista, si può ipotizzare che sì, forse i romani ci andarono giù duro con Corinto, ma che no, non la cancellarono definitivamente dalle mappe. Altrimenti non si spiegherebbe l’oculata scelta di fare della città la capitale amministrativa della provincia di Acaia (e non di Grecia, come spesso si sente dire). La rifondazione della città da parte di Giulio Cesare va inquadrata in un’ottica di rafforzamento commerciale di quanto già esisteva e non di creazione ex novo.

Corinto rovine

La violenza e la durezza dell’azione romana trovava persino giustificazione poetica e propagandistica. Come anticipato nelle prime battute, Roma di fatto vendicava Enea, e dunque Troia, dall’affronto acheo avvenuto un millennio orsono. L’eco dell’impresa e l’assoggettamento del Peloponneso rimasero a lungo impressi nella storia romana. Si faccia l’esempio del “distruttore di Corinto”, Lucio Mummio, poi divenuto l’Acaico. Egli celebrò il trionfo a Roma, fece erigere monumenti in Italia, in Gallia Cisalpina e in Betica, dove fu censore nel 142 a.C. insieme a Scipione Emiliano Africano. L’agnomen sopravvisse per un po’: la discendente Mummia Acaica, madre dell’effimero imperatore Galba, era solita vantarsi per via del sangue che scorreva nelle sue vene, il sangue di chi bruciò Corinto.