Se di dispute ereditarie e di gelosie ne sentiamo parlare ogni giorno, nella storia che stiamo per raccontarvi avrete l’impressione che hanno proprio esagerato. Stiamo parlando infatti del castello di Rovasenda, in provincia di Vercelli, e di farlo addirittura più grande, di fronte all’originale; una ripicca per non averlo ereditato.
Procediamo dall’inizio, ovvero intorno all’anno 1000. Il primo documento ufficiale all’interno del quale compare il nome di Rovasenda è dell’882. Carlo il Grosso, discendente di Carlo Magno, conferma la proprietà della zona a Liutvardo, vescovo di Vercelli. Nel 1170 invece, Alberto di Rovasenda inizia la costruzione del famigerato castello.
Inizialmente, come gran parte dei castelli medievali, anche quello di Rovasenda serviva per proteggere il signore locale, i cortigiani e la popolazione circostante da attacchi nemici. Nei secoli poi ebbe le più disparate funzioni: si svolsero attività economiche, agricole o semplicemente ci vissero famiglie signorili.
Fu sul finire del XIX secolo che la storia si fa buffa e divertente. Entra in gioco un nuovo personaggio, Luigi di Rovasenda, della zona di Ivrea ma imparentato con la famiglia in questione. Purtroppo per lui, si scoprì che non era discendente agnatico o uterino con Alberto, costruttore originario della struttura. Non lo avrebbe dunque ereditato.
Luigi e la ricca moglie Caroline Ashburner Nix non ci stavano. Volevano una vita da sogno, e l’avrebbero avuta. Decisero infatti di far edificare, su un terreno poco distante e visibile dalla proprietà, un castello identico ma in scala più grande. Chiesero aiuto all’architetto torinese Carlo Nigra.
Grazie all’ingente patrimonio della moglie di Luigi, figlia di un ricchissimo armatore inglese, nel 1904 il castello venne ultimato. La folle idea aveva preso corpo. Fino agli anni di poco successivi alla seconda guerra mondiale, i due vissero in pace nel loro castello. Poco dopo morirono a poca distanza l’uno dall’altra. Forse anche i parenti morirono di invidia, ma questo non ci è dato saperlo.