Senza mezzi termini, il Ninemile Canyon, situato nel deserto dello Utah orientale, è “la galleria d’arte (rupestre) più grande al mondo”. Un luogo magico che può vantare una collezione di circa 10.000 tra pittogrammi e petroglifi; un record difficile da battere, azzardiamo a dire “impossibile”.
Ispiratrice di questa forma d’arte rupestre è la cosiddetta Cultura Fremont, ovvero un tipo di cultura archeologica precolombiana che prende il nome dall’omonimo fiume che scorre nello stato centro-occidentale americano. Il popolo Ute, attraverso la mano del quale abbiamo la fortuna di osservare queste meravigliose creazioni su pietra, ha raffigurato tutto ciò che nella sua tradizione secolare ha assunto una rilevanza simbolica e rituale.
Immergendoci nell’ambiente del Ninemile Canyon scorgiamo pitture sulle credenze religiose, sulla flora e la fauna locale, su scene di vita quotidiana. Le pareti della gola rocciosa rappresentano una miniera di interminabili informazioni antropologiche e archeologiche, oltre che un’opportunità per i turisti. Quest’ultimi hanno il privilegio di calarsi in un contesto immutato nel tempo, immedesimandosi in una realtà creativa senza precedenti.
Pensate, i numeri che vi abbiamo fornito in realtà arrotondano per difetto l’effettiva quantità di incisioni presenti nel Canyon. Alcuni studiosi parlano di una quantità dieci volte più grande di quella stimata ad inizio articolo. Il popolo Ute avrebbe lasciato il proprio segno in loco tra il 900 e il 1200 d.C. Un’attività, la loro, che rende la gola dello Utah orientale il luogo con la maggior concentrazione di incisioni e pitture rupestri in tutto il Nord America.
Tale forma d’arte si manifesta prevalentemente attraverso petroglifi beccati (incisioni su roccia) e pittogrammi simbolici. Gli archeologi, operativi dal XIX secolo, hanno rilevato la presenza di rifugi rocciosi, case a fossa nonché antichi granai sparsi. Gli scavi però sono limitati se messi in relazione all’enorme quantità di tesori che il Ninemile Canyon nasconde. Eppure la mano dell’uomo contemporaneo ancora una volta minaccia l’integrità del trascorso precolombiano. L’area infatti è ricca di petrolio; l’avanzata dei pozzi è progressiva. In tal senso, il Dipartimento d’Archeologia statale e il business petrolifero sono chiamati ad un chiaro accordo per la preservazione dell’area.
I 63 siti d’interesse archeologico, dei quali non si conosce locazione (onde evitare danni) si suddividono nel seguente ordine: 40 si riferiscono a costruzioni Fremont; 19 d’arte rupestre; 4 sono incentrati su aree abitative di rilevanza storica. L’ampliamento degli iniziali 63 siti è avvenuta nel 2012, con l’aggiunta di altre 165 zone d’interesse.