Grazie all’evoluzione delle scienze mediche oggi i disturbi mentali possono essere compresi ed analizzati, si può offrire ai pazienti una terapia valida in grado, se non di eradicare il male, quantomeno di attenuarlo. Ma cosa accadeva nell’antichità, quando medicinali e trattamenti psichiatrici erano tutt’al più termini particolari utilizzati da stregoni e negromanti? Tantissimi furono i metodi di cura proposti nei secoli più remoti per eliminare quella che a tutti gli effetti veniva intesa come “pazzia”. Eccovene i più famosi.
Esorcismo – Se l’essenza di qualunque tipo di esorcismo è la lotta contro il male, allora il trattamento in linea di massima dovrebbe funzionare anche contro il tormento più recondito e incomprensibile, quello mentale. Così come lo presupponevano gli esorcisti che imbracciavano una Bibbia ed una croce in tempi non sospetti, dovevano immaginarlo anche mesopotamici ed egizi 5.000 anni fa. In Mesopotamia era molto nota la figura dell’ašipu, una specie di sacerdote-mago dai salvifici poteri curatori. L’ašipu individuava nel paziente la presenza di un demone, portatore di disagi ed affezioni. Per combattere queste forze malefiche nell’inventario del buon stregone non potevano mancare amuleti e formulari rituali. Solo in casi estremi, essi potevano chiedere l’aiuto di demoni “amici” per scacciare quelli indesiderati.
Salasso – Non solo egizi, greci, romani, ma anche civiltà precolombiane ed asiatiche ricorsero al salasso per curare i disturbi mentali. Bisognava separarsi dal “cattivo sangue” per riequilibrare i “quattro umori” (sangue, flegma, bile nera e bile gialla). La tecnica dell’emodiluizione prevedeva la recisione della vena cubitale mediana vicino il gomito o l’applicazione ragionata di sanguisughe. Tutto bello, peccato che per affrontare un problema di origine psichica non fosse chissà quanto utile.
Trapanazione – Ora, se il male è nella testa, allora perché non praticare un bel foro e vedere cosa accade? Sarà stato questo il ragionamento primordiale degli esseri umani fin dal Neolitico, periodo in cui per la prima volta (forse) ci si rese conto della realtà e la concretezza dei disturbi mentali. La trapanazione fu probabilmente il primo rimedio escogitato per estirpare un malanno del tutto sconosciuto. Con un coltellino affilato si tagliava una porzione di pelle sul cranio. Una volta rimossa, si procedeva con la rimozione della calotta cranica e si giocava all’allegro chirurgo con la membrana a protezione del cervello. Il risultato? Immaginatelo, è più facile.
Purghe – Essere un malato mentale significava avere qualcosa dentro di destabilizzante, “un umore peccante e alterato” per dirla con le parole di Ippocrate. Bene, proprio quest’ultimo capì che per far star bene il malmesso, era necessario favorire l’espulsione di quella specifica sofferenza. Giù di purghe quindi! Secondo i concetti dell’antica patologia, Ippocrate era solito somministrare il cartamo, il cardo benedetto, la scammonea, l’elaterio, l’elleboro, la coloquintide, tutto disciolto in una speciale soluzione d’ossimiele. Difficile ipotizzare un suo reale funzionamento, ma apprezziamo lo sforzo.
L’Arte – Concludo con una terapia che, rispetto alle altre, ha quasi senso di esistere. Errato pensare che ogni piano antico per trattare un disturbo di tipo psichico fosse estremo, radicale, infine dissipatore per la salute e l’incolumità del diretto interessato. Sempre gli egizi consigliavano all’infermo di danzare, disegnare, partecipare a concerti, svagarsi insomma. Allo stesso modo babilonesi e assiri ritennero la musica una buona cura per chi soffriva mentalmente, perché in grado di suscitare delle emozioni impattanti, significative per meglio dire. Terapie dell’oggi diremmo, nate millenni e millenni orsono.