Beh, non che fosse difficile immaginarlo, ma qualche conferma è sempre ben gradita. Un recente studio, infatti, ha dimostrato come la vita dei minatori (schiavi) nelle miniere d’oro dell’Egitto di epoca Tolemaica fosse alquanto crudele e brutale.
La vita nelle miniere d’oro egizie

Da decenni ormai gli archeologi stanno esplorando i deserti orientali dell’Egitto, concentrandosi anche sullo studio dell’industria mineraria dell’epoca. Dal 1994 la Missione archeologica francese ha scavato più di 20 siti nella regione, soprattutto forti romani e miniere di epoca tolemaica.
Si è così scoperto che gli abitanti dell’epoca sfruttarono ampiamente le risorse di questo territorio, in particolar modo durante il periodo ellenistico (332-30 a.C.). E le scoperte più recenti avvenute nel sito di Ghozza hanno restituito ai posteri una storia di crudeltà e brutalità inflitte agli schiavi che lavoravano nelle miniere d’oro dell’antico Egitto.
L’oro egizio era assai apprezzato, tanto che durante il Nuovo Regno (1500-1000 a.C.) e poi durante il periodo ellenistico, dopo la conquista di Alessandro Magno dell’Egitto nel 332 a.C., le attività minerarie presero nuovo vigore.
Bérangère Redon, associata della Missione archeologica francese, in un articolo pubblicato su Antiquity, ha spiegato che la nuova dinastia fondata da Tolomeo I aveva un disperato bisogno di oro per poter finanziare le sue campagne militari nel Mediterraneo e per costruire gli edifici monumentali progettati ad Alessandria.

Così i sovrani tolemaici decisero di incrementare le attività minerarie già a partire dalla fine del IV secolo a.C. Sotto il loro dominio furono aperte 40 nuove miniere. Nel 2014-2015 gli archeologi francesi hanno scavato Samut North, una delle prime miniere d’oro tolemaiche. Tali scavi hanno fornito importanti dati in merito al processo di estrazione dell’oro, anche se la miniera fu attiva solamente per 4-5 stagioni nel 310 a.C. E già qui sapevamo che la forza lavoro era strettamente controllata. Anzi: di sicuro alcuni lavoratori erano “ospitati” in dormitori strettamente sorvegliati.
Arriviamo così agli scavi di Ghozza nel 2020, la miniera d’oro tolemaica più a nord. A differenza di Samut North, Ghozza funzionava più come un villaggio autonomo. C’erano isolati residenziali, strade, strutture amministrative e bagni pubblici.
Differenti anche le tecniche di estrazione. Samut North preferiva usare la macinazione tramite grossi mulini, mentre i minatori di Ghozza estraevano i minerali a mano usando pietra da macinazione. Inoltre centinaia di ostraca, pezzi di ceramica utilizzati per scrivere, trovati in loco, indicano come alcuni minatori ricevessero dei salari (probabilmente molto bassi).
Tuttavia anche Ghozza sono presenti prove del lavoro di schiavi. Nel 2023, infatti, gli archeologi hanno dissotterrato alcune catene di ferro lungo il bordo orientale del villaggio. Questa zona era usata soprattutto per la conservazione e la preparazione del cibo.
Proprio all’interno di edifici in questa zona, ecco che gli archeologi hanno trovato due set di catene. Uno, composto da sette anelli per i piedi e due vincoli annessi, era collocato in una fossa. Un altro, invece, era formato da due frammenti di anello e quattro vincoli e si trovava in mezzo al pavimento di una stanza.

Tali catene di sicuro non erano progettate per gli animali, bensì per trattenere gli esseri umani. Una volta bloccate attorno alle caviglie, non potevano essere tolte senza un’apposita chiave. Le mani, però, rimanevano libere di poter lavorare, anche se i movimenti sarebbero stati molto lenti a causa del peso delle catene stesse, progettate per limitare la mobilità.
Questa scoperta conferma i resoconti storici di Agatarchide, scrittore del II secolo a.C. Costui testimoniò le terribili condizioni di vita in cui erano costretti schiavi e prigionieri nelle miniere d’oro tolemaiche. Lo storico parlava di una moltitudine di schiavi con i piedi bloccati da catene, obbligati a lavorare senza sosta, giorno e notte.
Lo storico identificò questi lavoratori come prigionieri di guerra e criminali condannati. Anche se probabilmente di questa schiera facevano parte anche persone giunte alla schiavitù tramite altre strade.
Quindi schiavi e lavori forzati erano parte integrante di queste miniere, ma non si sa ancora esattamente quali fossero le condizioni di vita di chi lavorava a Ghozza. Questo perché bisogna ancora capire quali fossero le loro abitazioni.
La disposizione del villaggio, però. suggerisce che almeno una parte della popolazione doveva essere libera di muoversi. Quindi in parte nelle miniere lavoravano schiavi, in condizioni disperate mentre in parte c’erano anche lavoratori liberi e retribuiti.