La Settima Arte ha trovato poco spazio in questa sede, forse troppo poco. Ed è un peccato, perché il cinema non è secondo a sculture, mosaici o tele in quanto a potenziale espressivo e comunicativo. Chi vi scrive poi è un appassionato di cinema fin dalla giovanissima età. Non un cultore, non un critico, semplicemente un amante dell’intrattenimento su grande schermo. È in virtù di questo mio interesse, legato a doppio filo al trasporto per la storia, che ho voluto cimentarmi nell’analisi, prima storica e poi cinematografica, di Cabiria, il colossal del cinema italiano muto sorto nel 1914 dal magistrale tocco registico di Giovanni Pastrone e dall’infinito estro creativo di Gabriele D’Annunzio.
Cabiria, prima ancora di essere un film, fu un fenomeno. Nelle seguenti righe cercherò di spiegarvi come e perché. Prima le dovute presentazioni. Girato dalla Itala Film nel 1914 prevalentemente a Torino, ma con gite fuoriporta tra Tunisia, Sicilia e Alpi Graie piemontesi, Cabiria fu una pellicola da record non solo per il florido (e all’epoca anche di punta; altro che Hollywood) panorama italiano, ma anche internazionale. Snoccioliamo qualche dato: si distinse come il film più lungo mai girato fino ad allora, con le sue tre ore e dieci minuti. Inoltre fu l’opera filmica più costosa di sempre, primato che detenne per qualche decennio. Costò la bellezza di un milione di lire, cifra esorbitante per l’epoca. Per insistere sul lato economico vi dico questo: lo stanziamento medio per una pellicola in Italia nei primi anni del XX secolo era di 50.000 lire.
Il film poté dirsi frutto dell’assidua collaborazione tra l’astigiano Giovanni Pastrone (regista, produttore e co-sceneggiatore) e il pescarese Gabriele D’Annunzio (co-sceneggiatore, soggettista e artefice della grandiosa campagna marketing che precedette e accompagnò il film nelle sale, cosa mai sperimentata prima da nessun’altra produzione). Il tocco d’annunziano lo si intravede in buona parte delle didascalie, queste caratterizzate da un tono alto, aulico, letterario e per niente colloquiale. L’innovazione dei costumi, della scenografia, della più pragmatica messa in scena, fu il vero punto forte di Cabiria. E appunto è incontrovertibile come la pellicola, all’epoca come oggi, provasse più ad “apparire” che a “raccontare”. Guai però a sottovalutare la ricercatezza dei dialoghi o degli espedienti narrativi.
A fare un parallelismo tra il contesto storico entro il quale si inserisce Cabiria e l’essenza stessa del film, non si può allora non citare il revanscismo latino di cui D’Annunzio già si era fatto portavoce. Lo stesso spirito di “reconquista” mediterranea che alimenterà parte dell‘interventismo bellico nel 1915. D’altronde non dimentichiamo su quali promesse territoriali si baserà l’entrata in guerra del Regno d’Italia. Su quale disillusione scaturirà il mito della Vittoria Mutilata e, per concludere la digressione, su che tipo di narrazione si impianterà il regime ventennale che condurrà l’Italia all’oblio sociale, all’isolamento economico e al disastro geopolitico.
Questo era D’Annunzio, il quale ha sì dimostrato una poliedricità professionale fuori dal comune, ma che sullo spirito italico ha basato la sua carriera e non solo. Ebbene Cabiria centra suddetto punto. Roma, emblema di un popolo puro, bello e beato, deve risplendere e far risplendere le tribù di barbari a lei assoggettate. Nella pellicola i barbari sono i Cartaginesi. Essi sono primitivi, arretrati in tutto e per tutto, ancora subdoli di una concezione del mondo arcaica e obsoleta. Punto focale del discorso è il sacrificio umano al dio Morloch nella sua mostruosità più profonda così come te la vuole presentare il film.
E poi come dimenticare Maciste. Il nome, che non vi sarà nuovo, nasce qui, col personaggio del gigante buono con i buoni, cattivo con i cattivi. Pensate che ad interpretare Maciste fu uno scaricatore di porto, il genovese Bartolomeo Pagano. L’attore e il personaggio piacquero così tanto e penetrarono talmente a fondo nell’immaginario del grande pubblico che in pochi si accorsero della superba prestazione recitativa della diva Italia Almirante.
In definitiva, Cabiria da una parte racchiuse a sé quanto di buono era stato fatto dal cinema negli anni immediatamente precedenti. Dall’altra seppe non solo innovare, ma rivoluzionare sperimentando. Un esempio su tutti: i movimenti di macchina, qualcosa di mai visto prima. Anche in ambito prettamente storico si può dire come Cabiria sia una creazione del suo tempo, spaccato di un’alta società che chiese all’Italia di imporsi, illudendosi sulle reali pretese che un paese come quello poteva avanzare.