A cavallo tra il XVI e il XVII secolo operò a Roma tale Bernardino Beccari, di professione libraio presso l’antica Stamperia del popolo romano (In aedibus Populi Romani). Un uomo il quale trascorso biografico è difficilissimo da ricostruire, per mancanza di informazioni, tanto dirette quanto indirette. Eppure Beccari per molti storici è l’antesignano dell’editoria che conosciamo odiernamente, il padre del giornalismo moderno. Affermazione del tutto giustificata o grossolana esagerazione? Scopriamolo assieme!
Natio di Salice, nella Marca Trevigiana, parte integrante dello Stato da Ter della Serenissima Repubblica di Venezia, Bernardino probabilmente si avvicinò al mondo della stampa fin da subito (forse influenzato dal padre Daniele, forse da amici di famiglia). La prima lacuna biografica riguarda l’anno di nascita. Certamente egli venne al mondo intorno alla metà del Cinquecento, salvo poi stabilirsi a Roma nei decenni successivi. Anche sulla venuta a Roma le fonti tacciono. Ah, quando dico le “fonti”, intendo le stesse stampe prodotte dal Beccari durante il suo prolungato soggiorno nell’Urbe o i documenti della Stamperia del popolo romano che lo citano direttamente. Oltre a queste, sono rilevanti le note del tipografo Niccolò Muzi, collaboratore del Beccari.
Ad esempio, sbirciando nell’Archivio Capitolino, ci si può imbattere nella copia di un contratto davvero interessante. L’accordo cartaceo tra Beccari e la stamperia indica come nell’anno 1575 l’originario di Salice svolgesse già la professione di libraio e torchiatore nella bottega di Piazza della Minerva. Come spesso accadeva per i professionisti dell’epoca, Beccari era sì un libraio, ma si cimentava in mille altre attività, tuttavia collegate tra loro: editore, impresario, agente informativo, torchiatore per l’appunto. Eppure il mondo dell’oggi lo ricorda per la sua attività editoriale legata alla pubblicazione di opuscoli sugli avvenimenti rilevanti del tempo. Bernardino Beccari era uno dei pochi estensori di “avvisi di stampa“, praticamente gli antenati delle future gazzette.
Nelle biblioteche romane esistono solo una cinquantina di esemplari riportanti il nome del veneto. Tuttavia gli opuscoli possedevano un difetto non di poco conto: erano facilmente deperibili. Ragion per cui si tende a credere come siano molti di più gli avvisi di stampa firmati B. Beccari. Ora ci si potrebbe chiedere in cosa eccellesse il nostro editore; la risposta risiede nell’accuratezza e nella strutturazione dei suoi opuscoli d’informazione.
Come ricorda lo storico Andrew Pettegree nel suo libro L’invenzione delle notizie. Come il mondo arrivò a conoscersi, precedentemente gli avvisi di stampa avevano un carattere puramente occasionale. Essi erano legati all’evento e perciò privi di una concordata cadenza di pubblicazione. Inoltre questi fogli si presentavano al lettore come delle specie di lettere private, scritte da anonimi, pubblicate chissà secondo quali accordi dalla stampa.
Con Beccari le cose cambiarono radicalmente, o meglio, fu il primo a determinarne un’evoluzione. Avvalendosi di fonti affidabili – le quali a loro volta percepivano un pagamento a seconda del caso – egli trasformava quelle “lettere private” in articoli proto-giornalistici. Beccari sfruttava nel migliore dei modi le reti postali esistenti (una delle più grandi rivoluzioni dell’intera età moderna, che spesso passa sottotraccia) e da esse traeva le giuste informazioni per redigere i suoi avvisi di stampa. Quest’ultimi seguivano lo stesso schema: introduzione generale dei fatti; succo della notizia ed eventuali collegamenti al contesto storico o geografico; conclusione moralistica di stampo cattolico (è pur sempre la Roma dei papi e della Controriforma).
Purtroppo tutti i documenti a lui riconducibili coprono un breve periodo di tempo (dal 1593 al 1600) e trattano quasi sempre lo stesso argomento: la Lunga Guerra turco-asburgica. Dopo l’esordio del secolo decimosettimo, si perde ogni traccia editoriale e biografica di Bernardino Beccari. La Stamperia del popolo romano sembra non nominarlo più. Gli archivi sono privi di qualunque riferimento a lui e alla sua opera. Un fantasma per la storiografia, è vero, ma resta – non a torto – uno dei padri fondatori del giornalismo moderno.