Passato alla storia come il più grande pittore dell’antichità, di Apelle si sa poco altro. Tutti i suoi dipinti sono per noi, gente del XXI secolo, un grandissimo mistero. I racconti delle sue gesta, delle abilità e dell’eccelsa fantasia che lo contraddistinse sopravvivono tuttavia. Sulla loro base proviamo a capire meglio chi fosse Apelle e in che modo toccò l’apice di una fama leggendaria.
Una delle principali fonti quando si parla di Apelle è Plinio il Vecchio, il quale spende parole al miele nel libro XXXV della Naturalis historia quando afferma: “Fu Apelle […] a superare tutti gli altri pittori che lo precedettero o lo seguirono. Da solo, contribuì alla pittura più di tutti gli altri messi insieme”. Secondo Plinio e altre fonti antiche, Apelle visse una vita felice, sfarzosa, densa di avvenimenti. Guadagnò il rispetto dei grandi sovrani e la stima dei principali pensatori. Stando sempre alle fonti antiche (tra le quali spiccano Marco Fabio Quintiliano e Plutarco) l’artista lavorò per Filippo II di Macedonia e il suo illustre successore, Alessandro Magno. Essi non furono i soli del mondo ellenistico a godere del talento creativo di Apelle.
Apelle nacque a Colofone, in Asia Minore, tra il 375 e il 370 a.C. Fu prima allievo di Eforo di Efeso, ma la fama sopraggiunse quando entrò a far parte della scuola di Sicione. Dodici anni vi trascorse, perfezionando una tecnica pittorica sopraffina già per i coevi. I suoi punti di forza erano l’attenzione al dettaglio (tipico dello stile dorico) perfettamente amalgamato con la sinuosità delle linee (più vicino agli stilemi ionici).
Si inserì nel contesto della corte macedone, ove lavorò per re Filippo II e per suo figlio Alessandro. Plinio il Vecchio ci dice anche che seguì il grandioso condottiero fino alle “estreme porte d’Oriente”. Non sappiamo se sia vero o meno; ciò che invece diamo per certo, è che alla morte di Alessandro, Apelle prestò la sua vena creativa al servizio degli ex generali, ora sovrani della galassia ellenistica. Dopo aver dato molto, in termini artistici, a sovrani quali Antigono I e Tolomeo I Sotere, si ritirò nell’isola di Kos, nel Dodecaneso, dove esalò l’ultimo respiro in un anno non meglio precisato, comunque intorno alla fine del IV secolo a.C.
Abbiamo constatato, con amara rassegnazione, che le sue opere oggi sono impossibili da reperire. In realtà lo sarebbero dall’epoca tardoantica, ma questo è un altro conto. Eppure Plinio il Vecchio, così come i pochi altri che ce ne descrivono le gesta, ha fornito qualche dettaglio sulle abilità tecniche-sperimentali di Apelle. Si dice come fu il primo sperimentatore del chiaroscuro e che non abbia mai utilizzato più di quattro colori. Ecco perché si parla di tetracromia: l’esclusivo utilizzo di bianco, nero, rosso e giallo. Al contempo il pittore vedeva nel bilanciamento tra geometria e proporzione l’elisir perfetto per il raggiungimento della kairòs, la grazia.
Tante le voce su di lui, alcune aneddotiche, altre del tutto mitiche. Tra le prime ne cito una che a parer mio risulta emblematica. Esisteva la convinzione popolare per la quale i dipinti di Apelle apparivano così realistici nel dettaglio da permettere ad un metoposcopos (indovino in grado di determinare età corrente e data di morte di una persona alla sola vista del volto) di stabilire il giorno della morte dei soggetti in essi ritratti.
Plinio afferma e sottoscrive in più di un’occasione il proficuo sodalizio instauratori tra Apelle e il suo mecenate più famoso, Alessandro Magno. Quest’ultimo si fidava così tanto delle abilità pittoriche dell’artista figlio della scuola di Sicione da emanare un editto speciale per il quale in tutto il regno Apelle ed Apelle soltanto avrebbe assunto la carica di ritrattista reale. Il pittore entrò nella stretta cerchia degli artisti vicini ad Alessandro, composta dai vari Pirgotele (il tagliatore di gemme) e l’immenso Lisippo (il più grande scultore del suo tempo).
Uno dei ritratti più famosi del re macedone realizzati da Apelle prende il nome di Keraunophoros. In base alla descrizione che Plinio ne fa, si presume che una vaga imitazione dell’originale possa trovarsi tra le rovine di Pompei. Nel dipinto Alessandro reggeva in una mano una saetta, a dimostrazione della sua ascendenza divina, legata chiaramente a Zeus.
Altri dipinti di cui si dispongono solo menzioni ma dalla fama universale sono il ritratto di Campaspe (concubina preferita di Alessandro andata in sposa propria ad Apelle) e la Venere Anadiomene. Quest’ultima, considerata l’opera maestra di Apelle, dopo innumerevoli passaggi di mano finì nel tempio del Divo Giulio a Roma. Qui subì danni e Nerone ne ordinò la rimozione. Come ho detto altre mille volte prima d’ora, è sempre e solo Plinio il vecchio a riportare queste informazioni.
Altri capolavori degni di nota furono il ritratto di Antigono I Monoftalmo – il primo della storia ad essere realizzato con il prospetto a 3/4, vista la menomazione oculare del sovrano ellenistico – o La Calunnia – tema del dipinto ripreso e aggiornato da un certo Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi, in arte Sandro Botticelli.