La grande espansione islamica avvenuta nel VII secolo aveva mutato sensibilmente la situazione geopolitica non solo del settentrione africano, ma dell’Europa intera. Consolidando il potere amministrativo prima ancora di quello militare, gli arabi tentarono un ulteriore allargamento delle proprie prerogative territoriali: ad ovest nella penisola iberica con un notevole quanto dirompente successo; ad est, minacciando direttamente il baluardo della romanità, ovvero Costantinopoli, pur tuttavia fallendo. Gli arabi, velocemente commutati in “Saraceni“, continuarono con scorrerie e razzie lungo tutto il IX secolo, minacciando soprattutto le coste dello Stivale.
La prima a cadere fu l’isola siciliana, che dall’843 divenne definitivamente la base operativa per ulteriori incursioni arabe sul continente. D’altronde la grande forza saracena aveva vita facile in un contesto già destabilizzato come quello del meridione italiano. Il caso dell’Emirato di Bari è indicativo in tal senso. Ad ogni modo, per quello che deve interessarci in questa sede, l’anno da cui far partire la narrazione è l’845. Una flotta araba abbastanza composita volge verso l’isola di Ponza; l’obiettivo è la conquista per ovvi fini strategici. Sergio I duca di Napoli (all’epoca dominio bizantino ma nell’effettivo si trattava di un’entità autonoma) risponde con successo alla minaccia, contrapponendo una flotta forte dell’ausilio di Gaeta, Amalfi e Salerno – ricordiamo queste città, perché ritorneranno più volte.
Gli arabi, motivati da una concezione leggermente distorta di Roma e del suo splendore (in larga parte decaduto), puntano in grosso. L’ennesima spedizione navale composta da 73 navi e circa 11.000 uomini risale nell’846 il Tevere dopo aver facilmente sbaragliato l’opposizione di Ostia. Giunti al cospetto di Roma, tentano invano di superare le possenti Mura Aureliane, costruite cinque secoli e mezzo prima proprio per rafforzare in modo decisivo la capacità difensiva dell’Urbe. Quella cinta protegge ciò che è dentro, purtroppo per il contado e le basiliche all’esterno. San Pietro fuori le mura è preda della violenza e del saccheggio; San Paolo non fa la stessa fine solamente grazie alla fiera resistenza in armi espressa da alcuni contingenti al soldo di Roma. L’evento comunque è sconvolgente, tanto che entrerà di diritto nella pregiata lista dei sacchi compiuti a danno della Città Eterna.
Non soddisfatti, i Saraceni tolgono l’assedio e procedono lungo l’Appia, facendo man bassa a Fondi e, in un secondo momento, marciando verso Gaeta. E qui ritorna quel Sergio I duca di Napoli, il quale spedisce a difesa della città suo figlio Cesario al comando di un considerevole corpo armato. La resistenza ha successo e gli arabi sono costretti ad ormeggiare in mare aperto. Addirittura supplicano Cesario di poter entrare nel porto perché diffidati da una burrasca distruttiva. Avrebbero tolto il disturbo non appena le acque si fossero calmate. Il console napoletano accetta ma – ironia della sorte – quando i Saraceni ripartono, una seconda tempesta distrugge la flottiglia (ci ricorda qualcosa…).
Dalle parti di Roma cercano di capitalizzare sull’esperienza traumatica. Portavoce di questa necessità è papa Leone IV. Il pontefice prima ordina la costruzione delle Mura Leonine a protezione di San Pietro e poi cerca di rafforzare Ostia con l’edificazione di due torrioni e l’allestimento di una catena nella foce del Tevere (stile Costantinopoli). Leone IV fu un visionario, perché nell’849 una flotta araba-sarda tornò a minacciare la costa tirrenica. Così si venne a formare una prima Lega Cristiana (di molto precedente a quella Santa voluta da Pio V nella seconda metà del XVI secolo). Tornarono ad unire i propri sforzi Napoli, Gaeta e Amalfi, alle quali si unirono altri contingenti campani.
Nell’estate dell’849 va in scena la Battaglia di Ostia, il più grande trionfo navale cristiano prima di quello contrassegnato in rosso da ogni storico che si rispetti: Lepanto, 1571. Lo scontro volse a favore dei campani, capaci di sfruttare ancora una volta un capriccio del meteo a loro favore. Gli arabi sopravvissuti alla disfatta finirono schiavi, molti dei quali addirittura lavorarono alla costruzione delle Mura Leonine. Come si dice? Chi la fa, l’aspetti!