All’interno dei meravigliosi Musei Capitolini, in una delle stanze espositive potete imbattervi nel Galata Morente, una copia romana in marmo di un bronzo d’età ellenistica (realizzato da Epigono quasi sicuramente nel III secolo a.C.). La scultura raffigura un giovane guerriero morente perché trafitto da un colpo di spada all’altezza del costato. Il combattente, che rivolge il suo sguardo addolorato verso il basso, trasmette con estremo realismo una sensazione di decadenza fisica. Essa è tipica dell’orgoglioso milite che si immola per una giusta causa, qualunque essa sia. I tratti somatici del giovane mal celano la sua identità: egli è membro dei Galati, un popolo celtico stanziatosi nell’Anatolia centrale tra il 281 e il 278 a.C.
A loro si deve il toponimo di Galazia, regione storica della Turchia, incastrata tra la Cappadocia occidentale e la Bitinia, con a nord il Ponto e a sud la Frigia. I Galati provenivano in realtà dall’Europa centro-orientale. Furono tra quei Celti che decisero di migrare verso sud e infatti li troviamo in un primo momento (intorno al IV secolo a.C.) in Tracia, dopo aver attraversato e razziato i Balcani. Temporaneamente stabilitisi nell’estremo meridionale della penisola balcanica, i Galati si resero protagonisti di una prima invasione a danno di Macedonia e Grecia, guidati dal “secondo Brenno” (così tramandano le fonti elleniche) nel 281 a.C. Per l’occasione quasi giunsero a conquistare il tempio di Apollo a Delfi, fallendo l’impresa all’ultimo.
La seconda invasione, che sarebbe più corretto chiamare “migrazione su richiesta”, avvenne nel biennio 279-278 a.C. Il re Nicomede I di Bitinia chiese supporto militare a delle tribù celtiche per sbrigliare una questione dinastica. In cambio promise delle terre in cui poter coltivare, allevare e tirare su qualche abitazione. Le tribù avevano un nome: i Trocmi, i Tolistobogi ed i Volci Tectosagi. Questi accettarono e mossero definitivamente verso l’Asia Minore, aiutando con successo Nicomede I e stanziandosi nelle terre garantite ad est della Frigia.
Nacque così la Galazia, una confederazione tribale suddivisa in tre province ognuna delle quali sparita in cantoni. L’amministrazione dei cantoni spettava alle città-stato dei Celti. Centri urbani che i romani definirono in un secondo momento oppidum. È Strabone a delineare i caratteri generali dell’organizzazione statale galatina. Grazie alla sua opera sappiamo come al vertice del cantone (e dunque della città-stato annessa) vi era il tetrarca, una sorta di monarca dal potere quasi assoluto. Dico “quasi” perché al tetrarca non spettava il potere giudiziario, preposto ad una diarchia di giudici.
I Galati non impiegarono chissà quanto tempo per ambientarsi ed assimilare tradizioni e costumi ellenistici. La trasformazione fu così radicale che già gli autori latini alto-imperiali identificarono quei Celti come “Gallo-Graeci“. La nomenclatura sopravvisse al volgere dei secoli, tanto che alcuni umanisti cinque/seicenteschi (Francis Bacon – Francesco Bacone per noi italiani – è l’esempio più calzante) continuarono a chiamare le tribù celtiche d’Anatolia Gallo-Greci. Nonostante il velocissimo adattamento, la ragione per la quale i Galati si erano fatti un nome presso i regni anatolici risiedeva nel loro bellicismo. Scacciate le comunità frigie col beneplacito di Nicomede I, le tribù celtiche continuarono senza sosta a razziare verso est – a danno dei Seleucidi – servendo nel tempo libero come validi mercenari.
Bisogna specificare una cosa: non dobbiamo immaginare la confederazione dei Galati come uno stato centralizzato o come un’entità statale plurale che seguisse tuttavia un indirizzo politico-militare univoco. Le tribù agivano per loro conto, spesso ponendosi al soldo di sovrani differenti. Accadde dunque che alcuni Galati promisero servigi ad Antioco I Sotere sovrano dell’Impero Seleucide e, nel mentre, altre tribù celtiche impugnarono le armi per volere di Mitridate I Ctiste del Ponto, guarda un po’ acerrimo nemico del monarca seleucide.
Degno di nota fu il coinvolgimento dei Galati contro Pergamo. Una grande guerra che vide contrapposti da una parte l’Impero Seleucide e dall’altra l’opulento regno di Pergamo. Il primo godette del sostegno quasi unanime dei Galli-Graeci, il secondo di molte poleis greche. La vittoria arrise a quest’ultimi, comandati da Attalo I, primo re attalide di Pergamo. Essi quindi soggiogarono la forza celtica come racconta Pausania il Periegeta (e come testimonia il Galata Morente con cui ho esordito). Suddetto confronto dell’ultimo ventennio del III secolo a.C. precedette il fatale contatto con Roma. Le mire espansionistiche della Res publica in Asia Minore furono il principale fattore di declino dei Galati (chiamati Galli dai romani). La sconfitta subita contro le legioni di Gaio Manlio Vulsone (189 a.C.) significò l’incondizionata sottomissione a Roma.
Per tutto il corso del II secolo a.C., i Galati si posero alle dipendenze dei re del Ponto, assecondando chiaramente la volontà dei dignitari romani. Durante le guerre mitridatiche tra l’89 e il 63 a.C. i Galati svolsero il ruolo di mercenari a sostegno dello sforzo bellico repubblicano. Già dal 64 a.C. la Galazia divenne regno cliente di Roma, entrando definitivamente a far parte del sistema provinciale imperiale sotto Augusto nel 25 a.C.
Piccola nota a margine riguarda la rapida evangelizzazione dei Galli, opera portata avanti da Paolo di Tarso. Le sua Lettera ai Galati fece breccia nella comunità che rimpiazzò il vecchio politeismo con la fede in Cristo. Per via di questo incessante proselitismo la Galazia divenne in poco meno di un secolo uno dei centri cristiani più vitali della regione.