Almanacco del 9 novembre, anno 1993: nell’ambito della guerra in Jugoslavia, pesanti bombardamenti danneggiano irrimediabilmente lo Stari Most, il “Ponte Vecchio” di Mostar, simbolo plurisecolare della città erzegòvina. Non crolla un semplice punto di collegamento tra le due parti della città; lo Stari Most era, ed è ancora oggi, molto di più.
Costruito durante il periodo della dominazione ottomana, il Ponte Vecchio di Mostar ha rappresentato per mezzo millennio un simbolo distinto della raffinatezza architettonica balcanica. Lungo 30 metri e largo 4, il ponte domina il sottostante fiume Neretva (in italiano Narenta) da un’altezza di 24 metri. Due torri ne abbelliscono gli estremi: esse sono le “custodi del ponte”, per questo prendono il nome di “mostari”. Il simbolo di Mostar e dell’intera Erzegovina ne ha passate tante in cinquecento anni di storia. Tuttavia il 9 novembre 1993 ha vissuto il suo momento più drammatico.
In quei mesi così convulsi per la regione balcanica, Mostar era divisa tra le milizie croato-bosniache dell’autoproclamata Repubblica Croata dell’Erzeg-Bosnia (internazionalmente non riconosciuta, de facto esistente dal 1991 al 1994), che occupavano l’area ovest, e l’esercito della Repubblica di Bosnia e Erzegovina, in pratica le forze governative a difesa dell’area est. Al tempo della guerra in Bosnia (1993-95) i media occidentali contribuirono a diffondere una notizia vera solo in parte. Sebbene il frazionamento tra un est bosgnacco (musulmani bosniaci) e un ovest croato-bosniaco fosse essenzialmente comprovato, il punto critico di collegamento tra le due parti non era il ben noto ponte di Mostar, bensì un largo viale, denominato boulevard, esterno alla città vecchia.
Come ampiamente sostenuto, lo Stari Most manteneva la sua fortissima aura simbolica. Un ponte che legava due anime della storica città dal lontano 1566 (1557 se si conta l’anno della prima commissione, stanziata da Solimano il Magnifico). In quel frangente autunnale della guerra in Bosnia, i combattimenti proseguivano da settimane e avevano causato l’abbattimento di quasi tutti i ponti nell’area di Mostar. Tutti tranne uno, il più importante, lo Stari Most. In realtà quest’ultimo aveva subito qualche danneggiamento nell’anno precedente, nel 1992, per via dei bombardamenti serbi. Per quell’occasione specifica croati e bosgnacchi avevano combattuto assieme per resistere all’assedio del nemico comune, i serbi. Arrise loro la vittoria, ma nel 1993 le carte in tavola vennero ulteriormente sparigliate.
Ora gli ex alleati si fronteggiavano e allo stesso modo consideravano il ponte come un emblema della fazione contrapposta. Eppure per una delle due parti interessate il Ponte Vecchio rappresentava anche un “legittimo obiettivo militare” – come avrebbero riferito i rappresentanti croati di Bosnia alla corte del Tribunale internazionale per i crimini della ex Jugoslavia. Strategicamente valido, perciò cerchiato in rosso sulle mappe in dotazione all’artiglieria croato-bosniaca. Slobodan Praljak, generale del Consiglio di difesa croato, ordinò la distruzione del ponte. Per due giorni l’artiglieria prese di mira l’obiettivo e la mattina del 9 novembre, alle 10:15, le pietre dello Stari Most caddero nel Neretva. Il bosniaco Zaim Kajtaz registrò in video la caduta del ponte: il filmato emblematico fece il giro del mondo.
Praljak si difenderà in sede legale asserendo, per l’appunto, come l’abbattimento del ponte avesse una valenza strategica militare. Non fu così per l’organo giudiziario delle Nazioni Unite, il quale sentenziò come il crollo dello Stari Most avesse “cagionato danni sproporzionati ai civili della comunità musulmana”.
Nel 2004 i fondi internazionali raccolti dall’UNESCO permisero la ricostruzione del Ponte Vecchio di Mostar. Esso oggi è parte del patrimonio materiale dell’umanità secondo la suddetta organizzazione.