Almanacco del 9 dicembre, anno 1959: viene rinvenuta la tomba dell’Atleta di Taranto. È un unicum nel suo genere, perché ancora oggi, a distanza di decenni, non si conosce una sepoltura così ben conservata, così ricca di dettagli fondamentali, appartenente ad un atleta della Grecia classica. Pardon, non un atleta qualunque, ma uno in grado di vincere in ben quattro occasioni i Giochi panatenaici.
Era il 9 dicembre 1959 quando lavori edili condotti sotto il civico numero 9 di via Genova, a Taranto, si fermarono improvvisamente. Gli operai che stavano scavando per far spazio alle fondamenta di un nuovo edificio si imbatterono in un sepolcro inusuale, antiquario certamente. Gli addetti riportarono a chi di dovere il ritrovamento e subito le autorità competenti indagarono sulla tomba.
Aperto il sarcofago – che gli esperti notarono subito essere eccezionalmente decorato – si rinvennero le spoglie perfettamente conservate di un uomo sulla trentina o poco più. Vista l’ottimale conservazione delle ossa, specialisti del mestiere riuscirono a ricostruire in modo dettagliato molti degli aspetti fisici più interessanti. L’Atleta di Taranto era alto circa 170 centimetri, pesava non più di 70 chili. Riccioluto e bruno, dagli occhi castani. Molto probabilmente vissuto fra il 500 e il 480 a.C.
Per gli standard dell’epoca si trattava di un uomo eccezionalmente slanciato, robusto e prestante. Aiutava e non poco una dieta calibrata e rigorosa: cereali, frutta, tanti carboidrati, proteine a volontà. Le dimensioni delle ossa, così come le incisioni sul feretro e le anfore ritrovate al suo interno lasciano poco spazio alle interpretazioni. Sembra proprio che l’Atleta di Taranto fosse un super-atleta, in grado di vincere per quattro volte i Giochi panatenaici nell’ardua specializzazione del Pentathlon: salto in lungo, lancio del disco, lancio del giavellotto, lotta, corsa. Data la struttura ossea, si pensa che la sua specialità fosse il lancio del disco.
Solo per avere un piccolo riferimento storico sui Giochi panatenaici: questi si svolgevano ogni quattro anni nella polis di Atene in onore della dea protettrice della città, Atena. L’evento attirava atleti da tutto il mondo classico. Per gli Ateniesi le Grandi Panatenee avevano un valore simbolico e religioso enorme, seppur impari a quello dei Giochi olimpici o dei Giochi panellenici.
La notizia sul ritrovamento dei record avvenuto il 9 dicembre 1959 fece subito il giro del mondo. Una sepoltura simile nell’antichità era riservata solamente ai più privilegiati della società classica. Non è complicato ipotizzare come l’Atleta di Taranto fosse qualcosa in più di un bravo sportivo. Entrando in un’ottica strettamente ellenica, tutta la narrazione trova una giustificazione chiara e razionale. Essere devoti nella Grecia antica significava anche e soprattutto dedicare la propria vita allo sforzo fisico, al perfezionamento del corpo e all’equilibrio dei sensi. Si spiega così la glorificazione di atleti in grado compiere grandi imprese.
Conosciamo il dato delle quattro grandi vittorie per via delle quattro anfore panatenaiche rinvenute (tre per intero, la quarta in frammenti). Queste altro non erano che un riconoscimento per il successo ottenuto; un po’ come le nostre medaglie d’oro. Un uomo superlativo capace di gesta superlative. E allora come spiegarsi una morte così prematura? Due le ipotesi, in egual modo valide:
- Rapidissimo deterioramento fisico dovuto all’artrite, le cui tracce sono evidenti nelle ossa.
- Intossicazione da arsenico, presumibilmente un atto colposo orchestrato da qualcuno per mettere definitivamente fuori gioco un atleta strapotente.