Almanacco del 7 luglio, anno 1937: in Cina ha luogo il cosiddetto “Incidente di Marco Polo” fra l’esercito cinese e quello Giapponese. L’evento fornì al governo nipponico un ottimo pretesto per dichiararsi in aperto conflitto con Pechino. Il 7 luglio 1937, infatti, è assunto come data di inizio della seconda guerra sino-giapponese. Ma cosa accadde quel giorno? Perché il Giappone mosse guerra alla Cina? Scopriamolo insieme.
Le motivazioni del conflitto fra i due maggiori paesi dell’Estremo Oriente sorgono da velleità imperialiste di Tokyo sulla Cina. L’Impero del Sol Levante ambiva a portare sotto la propria sfera di influenza l’intero Oriente Asiatico, compresi gli arcipelaghi del Pacifico occidentale. Le abbondanti risorse naturali di quest’area facevano gola all’Impero del Sol Levante, povero di materie prime. La Cina stava poi vivendo un periodo di decisa decadenza da ormai un secolo, indebolita dalle umiliazioni militari subite contro le potenze occidentali e dilaniata dall’instabilità politica interna e dalla guerra civile fra i comunisti di Mao e il governo nazionalista di Chiang Kai-Shek.
Tuttavia, anche se in grave crisi, la Cina era pure sempre un Paese sconfinato e densamente popolato. Perciò, se l’esercito cinese era alquanto debole, il controllo permanente delle zone conquistate palesava notevoli difficoltà. La popolazione locale, infatti, non si sarebbe facilmente sottomessa e avrebbe potuto ingabbiare gli occupanti con un’asfissiante guerriglia senza fine. La Cina era tutt’altro che semplice da conquistare.
Nel 1931 il Giappone invase la Manciuria costituendovi lo stato-fantoccio del Manciukuò. Essa, in virtù della sua posizione strategica vicino alla coste nipponiche, sarebbe stata un’ottimale base per la futura invasione della Cina. Serviva però un pretesto, un casus belli, per poter muovere guerra al gigante asiatico. E l’occasione giunse proprio quel 7 luglio 1937. Presso il “ponte Marco Polo“, costruito nei pressi di Pechino, si fronteggiarono gli eserciti cinese e giapponese. Le truppe cinesi abboccarono alla provocazione di quelle nipponiche e aprirono il fuoco contro quelle avversarie. Per il governo di Tokyo tanto bastò per considerarlo un atto oltraggioso e per muovere guerra a Pechino. La seconda guerra sino-giapponese era ormai impossibile da fermare.
Il conflitto con la Cina avrebbe trascinato il Paese del Sol Levante in una spirale fatale. Gli USA, avversari di Tokyo per il controllo del Pacifico e del Sud-Est Asiatico, decisero di imporre un embargo sulla vendita di petrolio al Giappone, bene indispensabile per condurre la guerra e di cui scarseggiava. Questo rafforzò la convinzione negli alti comandi nipponici dell’inevitabilità della guerra con il gigante statunitense. E quelle convinzioni assunsero natura concreta il 7 dicembre 1941, quando l’attacco a Pearl Harbour determinava l’ingresso di Giappone e USA nella Seconda Guerra Mondiale.