Almanacco del 6 agosto, anno 1863: il Corpo delle Guardie della Città reprime nel sangue uno sciopero operaio all’interno delle Officine di Pietrarsa. Il triste evento, ancora oggi commemorato da targhe, strade e piazze appositamente intitolate, passerà alla storia come la “Strage di Pietrarsa”.
Le Officine di Pietrarsa, assieme alle Reali ferriere ed Officine di Mongiana, costituivano il polo industriale più importante del Regno delle Due Sicilie. Esse sorsero per supportare la realizzazione del sistema ferroviario interno al regno. In tal senso spiccava la Napoli-Portici, il primo tratto rotabile a sorgere sulla penisola italiana. Nel periodo immediatamente precedente all’Unità, lo stabilimento contava all’attivo più di 1.125 dipendenti (dati del 1860). Nel periodo postunitario Pietrarsa continuò a detenere il primato nazionale in qualità di maggiore fabbrica metalmeccanica.
Il governo Minghetti operò un processo di riordino e razionalizzazione industriale su tutto il suolo italiano. La commissione preposta al compito affermò per le Officine di Pietrarsa le seguenti considerazioni: i costi di produzione della fabbrica erano quasi doppi rispetto agli standard internazionali (stabilimenti belgi e britannici erano l’altro termine del paragone); la scarsa redditività del complesso ne giustificava un ridimensionamento in termini di personale (l’ingegnere Grandis, consulente della commissione di riordino, propose addirittura una riconversione della fabbrica e persino una demolizione).
I provvedimenti dell’esecutivo spaventarono gli operai. Vennero organizzati per le suddette ragioni scioperi e contestazioni; questi durarono dalla primavera al 23 giugno 1863. Al termine delle proteste operaie, il consiglio d’amministrazione propose un accordo ai lavoratori: il reintegro dei licenziati in cambio di un adeguamento al ribasso della retribuzione per la totalità degli operai. I lavoratori mandarono giù il boccone già di per sé amaro, accettando l’offerta. Tuttavia gli stipendi non furono corrisposti entro le scadenze e il 6 agosto andò in scena un nuovo, questa volta accesissimo, sciopero.
Intorno alle 14:00 il capo contabile dello stabilimento contattò la polizia di Portici per il contenimento della protesta. La forza pubblica disposta (sei gendarmi del Corpo delle Guardie della Città) non si rivelò adeguata. Così intervenne un contingente armato di Bersaglieri, coordinato da Nicola Amore (allora questore di Napoli, poi sindaco dal 1883 al 1887 e nuovamente per il biennio ’88-’89).
Accadde l’irreparabile. Gli operai, consci del pericolo, aprirono i cancelli delle officine, chiedendo di parlare con le autorità ivi presenti. Allo schiudersi dei varchi i Bersaglieri caricarono, non fermandosi neppure di fronte alla rotta degli operai. 4 morti accertati e 17 feriti fu il bilancio dell’evento. Il questore Amore giustificherà quelle morti, dichiarando come fossero avvenute in “fatali e irresistibili circostanze”.
Si istituì una commissione d’inchiesta per indagare meglio sulla “Strage di Pietrarsa“, come presero a rinominarla i principali organi di stampa nazionale. L’onorevole Enrico Pessina, futuro ministro e senatore, si incaricò personalmente di risarcire le famiglie degli operai venuti a mancare quel 6 agosto 1863. Per quanto riguarda le conseguenze concrete sul futuro delle Officine di Pietrarsa, esse non vissero il tanto temuto ridimensionamento. Al contrario ottennero l’esclusiva della produzione di materiale ferroviario per tutto il Sud. La chiusura si registrò più di un secolo dopo, nel 1975.