Almanacco del 5 luglio, anno 1687: Isaac Newton pubblica i Philosophiæ Naturalis Principia Mathematica, ossia un trattato scientifico diviso in tre libri in cui per la prima volta lo scienziato britannico enuncia le leggi della dinamica e la legge di gravitazione universale. Ad oggi l’opera è considerata unanimemente una delle più rilevanti ed incisive per quanto riguarda lo sviluppo del pensiero scientifico.
“Ex nihilo nihil fit” direbbe Lucrezio, “nulla viene dal nulla” diremmo noi. In effetti i traguardi raggiunti da Isaac Newton in campo matematico, fisico ed astronomico godevano, nel secondo Seicento, di un retroterra che in questa sede non posso approfondire ma che sarebbe ingiusto e poco consono ignorare. Un secolo prima che nascesse Newton, la Rivoluzione Scientifica aveva avuto modo di esplicarsi in tutta la sua straordinaria efficacia. Un esempio di ciò proviene dalla teoria eliocentrica di Copernico e le successive leggi di Keplero (le orbite planetarie sono ellittiche; il sole è uno dei fuochi; il raggio vettore che unisce il centro del sole con il centro del pianeta descrive aree uguali in tempi uguali).
Come non menzionare il nostro Galileo Galilei, giunto ad un passo dall’enunciare il primo principio d’inerzia. Grazie all’erudito pisano e al suo piano inclinato si erano stabiliti degli esatti rapporti matematici tra tempo trascorso, l’accelerazione, la velocità e la distanza per il moto uniforme/uniformemente accelerato. Infine Cartesio, il quale ipotizzò l’etere, ovvero un invisibile mezzo propagatore di onde elettromagnetiche.
Tutte nozioni che Newton proverbialmente “divorò” nei suoi studi universitari. Esattamente durante questo periodo (1664-1666) l’uomo di scienza inglese scoprì il teorema binomiale. Gettò inoltre le basi per il calcolo infinitesimale e non si fece pregare nell’affrontare le ardue sfide rappresentate da campi quali l’ottica e la dinamica. Un attivismo cerebrale che gli valse l’associazione alla Royal Society di Londra e la titolarità della cattedra di matematica nell’Università di Cambridge.
Queste ed altre premesse – ahimè non toccate – condussero Isaac Newton a formulare, scrivere e pubblicare il 5 luglio 1687 i Philosophiæ Naturalis Principia Mathematica. Semplicemente noti come Principia. Lo si può considerare il primo trattato di fisica moderna, il punto dal quale fondare ogni successivo sviluppo in seno alla disciplina scientifica.
All’epoca della redazione, Newton decise di inserire nel primo libro dei Principia tutte le formulazioni sulla meccanica e sulla dinamica maturate nei precedenti anni d’insegnamento. Dunque tutto ciò che riguardava le leggi del moto, i moti curvilinei ed ellittici, leggi dell’urto, calcolo delle forze centrali, i moti dei pendoli.
Il secondo libro assumeva i connotati della confutazione scientifica agli occhi del lettore interessato. Perché Newton tentò (e vi riuscì) di smantellare alcuni principi derivanti della fisica cartesiana che poi si riverberavano nell’enunciazione delle tre leggi di Keplero. Ma se questi primi due testi partivano da un assunto basico e tramite deduzione giungevano ad una tesi conclusiva e risolutoria, il terzo libro seguiva il percorso inverso. Con ragionamento induttivo il matematico e fisico britannico si cimentò nella formulazione di un postulato sulla costituzione dell’universo (De systemate mundi).
La prima pubblicazione del 5 luglio 1687 anticipò l’uscita di altre tre edizioni, quelle del 1713, 1720, l’inglese del 1729 e la cosiddetta “gesuitica” del 1742. L’edizione critica contenente tutte le varianti apposte nel tempo è invece del 1971 a cura di A. Koyré e L. Cohen.