Almanacco del 4 gennaio, anno 1919: il governo provvisorio della neo costituita Repubblica di Weimar destituisce Emil Eichhorn, socialista radicale e capo della polizia di Berlino. Si tratta della miccia che innescò la famosa rivolta spartachista del 5-12 gennaio 1919. L’insurrezione voluta dalla Lega Spartachista durò una sola settimana, al termine della quale la repressione armata attuata dai Freikorps pose fine al tentativo rivoluzionario.
Nella Germania dell’immediato primo dopoguerra si scatenò una sorta di lotta al potere fra chi intendeva instaurare un regime basato su logiche socialdemocratiche e chi, al contrario, preferiva intraprendere una strada simile a quella tracciata dal modello sovietico in Russia. A capo della prima fazione vi era il Partito Socialdemocratico di Germania (SPD), guidato da Friederich Ebert. Da contraltare faceva una coalizione della sinistra radicale, composta dai sindacati rivoluzionari, il Partito Socialdemocratico Indipendente (USPD) e il neonato Partito Comunista di Germania (KPD), a rappresentanza del quale stavano Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, i fondatori della Lega Spartachista.
Già nel novembre 1918 si verificò una prima ondata rivoluzionaria. Essa portò al termine della guerra, all’abdicazione formale dell’imperatore Guglielmo II e alla nascita della repubblica. Tuttavia i rivoluzionari sentivano di aver raggiunto solamente una tappa intermedia e non il traguardo finale. Lo stesso concetto di “traguardo” era fonte di acceso dibattito internamente alla sinistra radicale. Persisteva infatti la classica dicotomia tra i riformisti moderati e i rivoluzionari armati.
Dopo l’allontanamento del 4 gennaio, Eichhorn propose alla coalizione di sinistra di indire una manifestazione per il giorno seguente. Il 5 gennaio centinaia di migliaia di persone si riversarono per le strade di Berlino; alcune bande armate riuscirono ad impossessarsi di edifici strategici nella capitale. I vertici del movimento insurrezionale si radunarono presso il quartier generale della polizia ed elessero un Comitato rivoluzionario ad interim (Provisorischer Revolutionsausschuss). Il comitato avrebbe dovuto direzionare le scelte del movimento, ma le spaccature interne resero inattuabile ogni possibile provvedimento. Si riuscì tuttavia ad indire uno sciopero generale per il 7 gennaio, al quale parteciparono circa mezzo milione di lavoratori accorsi a Berlino.
I riottosi spartachisti notarono le prime avvisaglie di un fallimento quando tentarono, invano, di convincere la divisione della Marina popolare (Volksmarinedivision) ad unirsi alla causa. La divisione si dichiarò invece neutrale e in attesa di eventuali risvolti: un modo carino per dire “staremo dalla parte di chi vincerà”. Alla fine le scissioni interne al Comitato rivoluzionario portarono ad un’insanabile rottura dello stesso. Ne approfittarono le unità paramilitari, informalmente richiamate dal governo provvisorio di Ebert. I Freikorps vantavano all’incirca 3.000 unità; malgrado fossero in minoranza, questi uomini erano non solo meglio equipaggiati (con le dotazioni dell’esercito), ma anche freschi reduci di guerra. Il vantaggio si concretizzò e già il 12 gennaio la repressione armata fece rientrare la rivolta.
Essi sgomberarono gli edifici precedentemente occupati, perdendo solo 17 uomini. Dalla parte dei ribelli morirono dai 150 ai 196 uomini. Alla conta dei morti si deve aggiungere un non meglio definito numero di vittime civili. Il 15 gennaio Luxemburg e Liebknecht furono scoperti dai paramilitari, interrogati e condannati a morte.