Almanacco del 4 dicembre, anno 1829: sul territorio dell’India britannica entra ufficialmente in vigore il Bengal Sati Regulation (tecnicamente noto come Regulation XVII, AD 1829 del Bengal Code). Le autorità inglesi dichiarano illegale la controversa pratica funeraria del satī, segnando un punto di svolta, dal punto di vista sociale e amministrativo, nella storia del Raj britannico.
Prima di entrare nel dettaglio, è assolutamente necessario capire cosa sia il satī e cosa rappresenti per la parte di società indiana professante l’induismo. Utilizzo il presente perché l’atto rituale, sebbene quasi del tutto scomparso, sopravvive in alcune aree remote e rurali del subcontinente indiano (dal 1947 ad oggi si sono verificati 40 casi). La parola “satī” deriva dal sanscrito e significa “devota” o “virtuosa”. La desinenza non lascia spazio ad interpretazioni su chi debba immolarsi per la concretizzazione della funzione rituale. Badate bene, la parola “immolarsi” è quanto mai corretta, perché di quello si tratta. Il satī prevede che la moglie, divenuta vedova, si sacrifichi gettandosi tra le fiamme della pira funeraria del marito.
Un atto di estrema devozione che si diffuse già in epoca medievale tra le caste più agiate della gerarchica società indiana. Questo sopravvisse su larga scala fino alla prima metà del XIX secolo, soprattutto nell’area dell’India settentrionale e nord-orientale, nella regione del Bengala per intenderci. Giusto per avere una stima numerica, esistono dei resoconti dell’East India Company (la Compagnia delle Indie Orientali, EIC) secondo i quali tra il 1813 e il 1828 nel Raj si verificavano in media più di 600 satī all’anno.
A rendere ancor più abominevole la pratica era il fatto che la maggioranza delle donne coinvolte non lo facevano per un’ostinata fedeltà alle vecchie tradizioni, ma perché costrette – o convinte con pressanti metodi persuasivi – dai membri più eminenti della famiglia, spesso appartenenti al ramo parentale del marito.
Per porre un freno a tutto ciò, l’allora governatore generale dell’India britannica, Lord William Henry Cavendish-Bentinck, decise di promulgare il Regolamento sul satī bengalese. Il divieto entrò in vigore il 4 dicembre 1829 e, come anticipato, rappresentò un momento cardine della storia coloniale anglo-indiana.
Il provvedimento fu il primo di una lunga serie legislativa atta a contrastare le vecchie pratiche indù limitanti del diritto femminile. In particolare si andò a rivedere la modalità di trasmissione ereditaria per le donne, chiaramente a favore di quest’ultime. La legge di Lord William Bentinck ebbe lunga vita perché restò in vigore fino al 1987. Negli anni ’80 dello scorso secolo ci fu una ripresa dei casi di satī. Dunque il governo di Dehli rinforzò la legislazione in merito. Abrogò l’atto legislativo del 4 dicembre 1829 e ne promulgò uno più stringente, il Sati Prevention Act.