Almanacco del 31 luglio, anno 1658: all’indomani di una lotta fratricida per la successione al trono, il principe Aurangzēb diventa Gran Mogol dell’Impero Moghul. Il successivo cinquantennio sarà denso di avvenimenti per l’impero nel subcontinente indiano, il quale vivrà la sua ultima stagione di ricchezza e splendore, soccombendo già ai primordi del XVIII secolo al colonialismo europeo e britannico in particolar modo. La figura di Aurangzēb è tutt’oggi molto controversa: osannato come grande conquistatore e magnanimo sovrano dai suoi fautori; indicato come becero perseguitatore e ostinato oppressore delle minoranze indù e sikh dalla storiografia a lui avversa. Ad ogni modo, si è genericamente concordi nell’affermare come il suo regno sia stato uno dei più iconici dell’intera storia indiana.
Aurangzēb nacque il 3 novembre 1618. Terzogenito dell’imperatore Shāh Jahān (colui che fece erigere il Tāj Maḥal per intenderci) e di sua moglie Mumtāz Maḥal. Il principe crebbe con la consapevolezza di non essere il favorito del padre, ruolo che al contrario spettava al figlio maggiore, ovvero suo fratello Dārā. I primi 39 anni del principe Aurangzēb trascorsero all’insegna della cultura, corroborata da un granitico spirito religioso, e del governo, ricoprendo qua e là governatorati in province sensibili dell’impero. L’anno della svolta fu il 1657. L’imperatore Shāh Jahān cadde ammalato e gli animi dei tre fratelli – formalmente sul medesimo piano per l’ereditarietà, ma con il primogenito Dārā evidentemente in vantaggio sugli altri – si surriscaldarono. Ne scaturì una guerra fratricida, risoltasi con la vittoria di Aurangzēb.
L’ottavo Gran Mogol, che prese possesso del trono il 31 luglio 1658 col titolo onorifico di Ālamgīr I (lett. “Conquistatore del mondo“), per rinsaldare il potere nelle sua mani fece decapitare il fratello maggiore e imprigionò il padre nel Forte Rosso di Delhi, morendo in cattività otto anni dopo. L’imperatore tracciò immediatamente i punti salienti del nuovo corso. Anzitutto operò per una più rigida osservanza dei precetti islamici. La Legge coranica, ovvero la Sharīʿa, divenne fonte di ispirazione per la promulgazione di editti e leggi regolatori del vivere quotidiano. Su consiglio dei predicatori radicali, il Gran Mogol fece bandire la musica e le raffigurazioni iconografiche a corte. In sintonia con la sua intolleranza religiosa, ordinò la chiusura di templi indù e scuole dottrinali in tutto l’impero.
L’intransigenza di Aurangzēb causò lo scoppio di non poche rivolte: le più veementi furono probabilmente quelle Sikh e quelle di matrice militare-induista (pashtun, 1672). Curioso notare come, malgrado il fondamentalismo dichiarato dell’imperatore, buona parte dei suoi generali fossero liberi di professare l’induismo. Ad esempio era induista praticante il più valido dei suoi comandanti, Mīrzā Rāja Jāi Singh. Restando in tema militare, bisogna però riconoscere come le campagne belliche di Aurangzēb effettivamente condussero l’Impero Moghul ad una sensibile espansione, soprattutto nelle aeree del Punjab e dell’Afghanistan. Molti storici tendono a dire che fu per via di questo espansionismo incontrollato che l’impero si dissolse dopo la morte del Gran Mogol. Facile crederlo, ma è più ragionevole ricercare il motivo del decadimento in un mix di fattori, tanto endogeni quanto esogeni. Notevoli furono anche le conquiste territoriali nel meridione indiano, a danno dei regni Maratha.
A differenza di quasi tutti i suoi predecessori, Aurangzēb non considerò mai il tesoro imperiale un bene privato. Al contrario egli credeva che le ricchezze del sovrano dovessero in realtà fungere da risorsa per i sudditi. In quest’ottica le realizzazioni architettoniche strettamente personali furono esigue per un regno che durò mezzo secolo. Degni di nota sono il mausoleo dedicato ad una delle sue tre mogli, il piccolo Taj, e la Moschea di Badshahi a Lahore, una più grandi del mondo musulmano. Ma il modesto dispendio in opere pubbliche o private nulla poteva di fronte allo sperpero del tesoro reale per contingenze belliche. Questo, semmai, fu il vero tallone d’Achille dell’ottavo Gran Mogol.
Prima di morire espresse la chiara volontà di suddividere in quattro il suo impero, ciascuna porzione ad uno dei suoi quattro figli. Così, nei piani del Gran Mogol, si sarebbe evitato lo spargimento di sangue che egli stesso visse e che lo condusse al trono quel lontano 31 luglio 1658. L’imperatore Aurangzēb morì il 3 marzo 1707, alla veneranda età di 90 anni. I suoi figli non rispetteranno il testamento, finendo anche loro in un vortice di violenze fratricide. Il destino dell’Impero Moghul, sino ad allora prima economia del mondo per volume d’affari e produzione interna (The World Economy: Historical Statistics di Angus Maddison), era oramai segnato.