Almanacco del 30 maggio, anno 1924: esattamente cento anni fa, Giacomo Matteotti, segretario del Partito Socialista Unitario, prende la parola alla Camera dei deputati. Il suo intervento è interamente dedicato alla contestazione della legittimità delle elezioni politiche appena avvenute: con grande coraggio denuncia i brogli e i soprusi. Quelle impavide e taglienti parole però gli costano care. Solamente undici giorni dopo, infatti, è rapito e ucciso. Questa è la storia dell’ultimo discorso di Matteotti.
L’onorevole socialista non usa mezzi termini e già nell’esordio afferma con chiarezza che “la lista di maggioranza governativa, la quale nominalmente ha ottenuto una votazione di quattro milioni e tanti voti […] non li ha ottenuti di fatto e liberamente“. In virtù di questa considerazione, mette in dubbio il raggiungimento della percentuale di voto necessaria per ottenere il premio di maggioranza previsto dalla scandalosa legge elettorale, le Legge Acerbo del 1923. Essa prevedeva infatti che la lista che avesse raccolto il 25% dei consensi avrebbe ottenuto i 2/3 dei seggi in Parlamento.
Matteotti quindi riporta le dichiarazioni stesse degli avversari, i quali avevano esplicitamente sostenuto che “le elezioni non avevano che un valore relativo, in quanto il Governo non si sentiva soggetto al responso elettorale, ma che in ogni caso avrebbe mantenuto il potere con la forza“. Il riferimento è ovviamente alla Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (le “camicie nere“), che durante le votazioni aveva assicurato consenso al Regime con la forza, tantoché “nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà“.
Il deputato socialista passa quindi alla denuncia dei soprusi inferti al suo partito da milizie di estrema destra durante la presentazione delle liste elettorali. Quest’ultima, infatti, “deve avvenire in ogni circoscrizione mediante un documento notarile a cui vanno apposte dalle trecento alle cinquecento firme“. Tuttavia, “in sei circoscrizioni su quindici le operazioni notarili […] sono state impedite con violenza. […] In Puglia fu perfino bastonato un notaio“. Prosegue poi elencando gli abusi compiuti durante la tornata elettorale, venendo costantemente interrotto dagli avversari. Matteotti, quindi, conclude il suo intervento con una vibrante e perentoria difesa delle libertà:
“Non continuate più oltre a tenere la Nazione divisa in padroni e sudditi, poiché questo sistema certamente provoca la licenza e la rivolta. Se invece la libertà è data, ci possono essere errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo. Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con l’opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni“.
Quando si risiede al suo posto, applaudito dai suoi e fischiato dai suoi avversari, Matteotti è conscio che quello sarebbe stato il suo ultimo discorso. Pare infatti che abbia detto al suo collega Giovanni Cosattini, seduto accanto a lui, “Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me“. Quelle parole suonano come una triste preveggenza. Il 10 aprile 1924, mentre esce di casa, è aggredito da cinque uomini, che lo caricano su un auto e lo uccidono a coltellate. Il cadavere é rinvenuto solamente il 16 agosto.
Il Delitto Matteotti costituì un salto nel buio per l’Italia. Se già la Marcia su Roma, le violenze, le elezioni viziate erano state un importante campanello di allarme, la morte dell’onorevole socialista costituisce un punto di non ritorno. A nulla servirà la successiva secessione dell’Aventino: il pitone nero aveva ormai avvolto l’Italia per il collo. Quel 30 maggio di cento anni fa si cercò di smuovere gli animi per una risposta che non era ancora arrivata. Una risposta che dovette attendere vent’anni, ma che quelle parole certamente contribuirono a stimolare. Muoiono gli Uomini, ma non le idee.