Almanacco del 30 agosto, anno 1706: Pietro Micca, soldato minatore dell’esercito sabaudo, si sacrifica eroicamente durante l’assedio francese di Torino. Il contesto è quello della guerra di successione spagnola (1701-1714). Icona del Risorgimento italiano, Pietro Micca visse tuttavia più di un secolo e mezzo addietro gli avvenimenti e le vicende da cui scaturirono le guerre d’indipendenze e, ovviamente, il processo unitario.
Al piemontese sono dedicate strade, piazze, monumenti e addirittura qualche loggia massonica. Ci si potrebbe domandare perché; ebbene, il tutto si spiega narrando i fatti avvenuti nella notte tra il 29 e il 30 agosto del lontano 1706. Prima però un breve focus sulla vita del nostro protagonista prima di divenire l’eroe popolare che tutti conoscono. Pietro Micca nacque il 5 marzo 1677 a Sagliano (oggi Sagliano Micca, provincia di Biella), un piccolo paesino della Valle Cervo, in Piemonte, da una famiglia modestissima. Il padre era un muratore, la madre si occupava di casa e figli. Altre notizie storicamente accertate non si hanno. Sappiamo solo che Pietro, noto in piemontese come Pero Mica, sposò nel 1704 Maria Cattarina Bonino. Dall’unione nacque un figlio, Giacomo Antonio.
Il matrimonio precedette di poco il suo arruolamento nell’esercito sabaudo. Col grado di soldato semplice entrò a far parte nella compagnia minatori, impiegata dal maggio al settembre del 1706 nella difesa della cittadella di Torino contro gli assedianti francesi. Quest’ultimi, in numero di 44.000, tennero occupati i 10.500 difensori per quasi cinque mesi. Per la precisione furono 117 giorni, alla fine dei quali i francesi furono costretti alla ritirata dall’arrivo delle truppe imperiali comandate dal principe Eugenio di Savoia (di cui abbiamo già fatto la conoscenza in un articolo passato) e dal duca, poi re, Vittorio Amedeo II.
Questo il contesto in cui, nella buia nottata tra il 29 e il 30 agosto 1706, una squadriglia di granatieri francesi si infilò nella galleria sotterranea che conduceva alla Mezzaluna del Soccorso. Si trattava di un punto strategicamente vitale della cittadella. Se fosse caduta in mano francese (cosa molto complicata, ci torneremo dopo), probabilmente per Torino non ci sarebbe stata speranza. L’intento francese non era comunque quello di occupare militarmente la fortificazione, ma di renderla inagibile minandola. Venute meno le sentinelle all’imbocco, gli uomini del Re Sole avanzarono indisturbate fino alla porta oltre la quale si trovavano le scale per l’uscita. I transalpini iniziarono a sfondarla. Se ne accorsero subito i commilitoni incaricati di presidiare la scala. Uno dei due rispondeva al nome di Pietro Micca.
Quel che accadde si fonda unicamente sulla cronaca scritta del comandante d’artiglieria ivi presente Giuseppe Maria Solaro della Margherita. Secondo gli scritti dell’ufficiale, Micca e il compagno d’armi, presi in controtempo dal sopraggiungere dei francesi, decisero di far saltare la scala, provocando anche il crollo della galleria antistante. Per farlo sarebbe stato necessario accendere la miccia di un candelotto a polvere nera posta in una nicchia nella sezione inferiore.
Si presentò un bel problema: la miccia era a rapida combustione. Il tempo intercorso tra l’accensione e la detonazione non sarebbe bastato alla fuga dei due. Era necessario legare al primo stoppino un secondo a lenta combustione. Ci provò il commilitone di Micca, ma fallì perché preso dall’agitazione e dall’urgenza del momento. Leggenda vuole che Pero Mica si assunse la responsabilità dell’atto urlando al compagno: “Togliti di lì, tu sei più lungo di un giorno senza pane! Lascia fare a me, salvati”.
Il tempo correva, forse troppo velocemente. Resosi conto dell’imminente sfondamento francese, Micca decise di dare fuoco ad un tratto di miccia più corto, così da velocizzare le tempistiche. Provò a fuggire ma l’esplosione e il conseguente crollo lo travolse. Morì là sotto, ma impedì ai nemici qualunque avanzamento. Quando le truppe sabaude ritrovarono il corpo, lo seppellirono in una fossa comune. La moglie chiese ed ottenne un vitalizio (a dire il vero abbastanza essenziale), inviando una supplica al duca Vittorio Amedeo II in cui si leggeva come il marito avesse agito sott’ordine o “invitato dalla generosità del suo animo a portarsi a dare il fuoco a detta mina, non ostante l’evidente pericolo di sua vita”.
L’episodio sin qui raccontato fu certamente romanzato in seguito. Non è detto che le cronache del comandante Solaro della Margherita siano attendibili al 100%. Alcuni aspetti rimangono, se non controversi, quantomeno discutibili. Ad esempio il sacrificio di Pietro Micca, per quanto mirabile, molto probabilmente fu avventato. Se invece di far esplodere scale e galleria si fosse ritirato fino in superficie, lasciando così avanzare i francesi, la situazione si sarebbe risolta praticamente da sé. Storici militari sono concordi nell’affermare come le gallerie fossero all’epoca troppo strette per far passare un numero considerevole di truppe. In aggiunta, una volta usciti allo scoperto i granatieri di Luigi XIV avrebbero dovuto fare i conti con una posizione decisamente sfavorevole. Le guardie piemontesi avrebbero avuto gioco facile nell’opporre resistenza.
Oltre la naturale idealizzazione dell’episodio storico (non pochi esperti fanno risalire al gesto eroico del 30 agosto l’inizio della lunga – lunghissima in tal senso – stagione risorgimentale), si deve per forza di cose riconoscere a Pietro Micca un coraggio e una prontezza fuori dall’ordinario. Si immolò per un’Italia che ancora non esisteva e di cui ignorava presumibilmente l’entità, eppure per quell’ideale è passato alla storia.