Almanacco del 3 febbraio, anno 1991: finisce l’epoca del Partico Comunista Italiano (PCI) che cambia nome e volta pagina nella sua tortuosa storia. Nasce il Partito Democratico della Sinistra (PDS) con 807 voti favorevoli, 75 contrari e 49 astenuti. Un mutamento di nome che voleva essere un cambio di rotta e di prospettive, le quali potevano dirsi pesantemente convertite soprattutto in riferimento al panorama internazionale ma anche interno. Inoltre, non sarà l’unica fenice a nascere dalle ceneri del vecchio partito, ma procediamo con calma approfondendo un po’ insieme la vicenda.

La storia di quel 3 febbraio comincia, senza andare eccessivamente a ritroso, il 12 novembre di due anni prima. Siamo nel 1989, cade il Muro di Berlino in quel freddo giorno 9 di novembre, ma molti cuori si scalderanno e altri animi non saranno da meno. Tutti capirono la portata ampissima e fortissima che aveva questo evento, soprattutto in Italia. Qui c’era infatti il Partico Comunista più grande di tutto l’Occidente, anche se i suoi numeri scemavano dalle elezioni del 1978 in poi.
Dal 21 giugno 1988 era segretario nazionale Achille Occhetto. In quei giorni del 1989 si trovava in vacanza con la famiglia a Ravenna e, d’improvviso colto dalla notizia, si presentò ad un congresso di ex partigiani e militanti del partito alla sede della Bolognina, chiaramente nel capoluogo emiliano. Si tratterà di una svolta storica, ricordata appunto con il nome di “svolta della Bolognina“.

Il segretario proponeva e prometteva un corposo rinnovamento sulla scia di quanto stava accadendo in Germania e anche un po’ più ad est (due anni dopo cadrà anche il pezzo più grande del puzzle, l’Unione Sovietica). Il cambiamento partiva, come spesso accade, proprio dal simbolo primo del partito: il nome. Nel PCI scoppia un putiferio. La storia non si disconosce, secondo molti, soprattutto i membri più anziani del partito, che vi si opposero vigorosamente. Ma quel vento del sud era troppo forte per essere fermato da anziani membri un’ideologia che non esisteva quasi più.
Pietro Ingrao, Alessandro Natta, Aldo Tortorella e Armando Cossutta la pensavano in maniera totalmente opposta. Per trovare il bandolo della matassa si scelse il modo più canonico: il XIX Congresso del Partito. La rielezione di Occhetto (conferma dell’approvazione del suo operato e della sua idea) arrivò con un netto 67%. Si andava avanti per quella strada dunque. Con la stessa percentuale, il 31 gennaio del 1991, al XX ed ultimo Congresso della storia del PCI si decideva anche il nome del proprio futuro: Partito Democratico della Sinistra.

Un 27% circa dei delegati votò però per un’altra idea, il Movimento per la Rifondazione Comunista. Contestualmente nasceva un’altra frangia, più ancorata al passato e a quello che fu. In ogni caso, e in chiusura torniamo a quanto detto all’inizio, da quel 3 febbraio 1991, il PCI non esisteva più. Diventava un ricordo roseo, rosso o nero, dipende a chi lo si chiede. In ogni caso fu un protagonista indiscusso della “Prima Repubblica” che sarebbe morta da lì a poco, senza che nessuno ne uscisse con le Mani Pulite.