Almanacco del 28 novembre, anno 1660: dodici uomini di scienza provenienti da Londra e Oxford si riuniscono nelle sale del Gresham College di Londra. Il loro incontro è proficuo. Viene fondata infatti la Royal Society (formalmente “The President, Council, and Fellows of the Royal Society of London for Improving Natural Knowledge”), una delle associazioni accademiche più antiche al mondo ancora oggi in attività.
Le più brillanti menti d’Inghilterra e, in generale, dell’Europa occidentale, sfruttarono a dovere l’opportunità di incontrarsi quel 28 novembre di tre secoli e mezzo fa. Dopo una lezione dell’astronomo Sir Christopher Wren, i dodici del Gresham College avrebbero discusso sulle caratteristiche fondative e costitutive della nuova associazione. Un punto su tutti prevalse nell’immediato. Ci si sarebbe occupati prevalentemente di “filosofia naturale“, termine con il quale nel XVII secolo si indicava la nostra scienza. Lo scopo ultimo da perseguire apparve ben chiaro alla totalità dei fondatori. L’organizzazione con statuto avrebbe dovuto promuovere con ogni mezzo, energia e risorsa l’eccellere delle scienze. Così facendo, avrebbe asservito il sapere al benessere della società tutta.
Nobile iniziativa, senz’altro, avanzata in primis da intellettuali quali John Evelyn, il già citato Wren, e ancora Robert Boyle, Robert Hooke, William Petty, John Wallis, il filosofo nonché padre del liberalismo John Locke, Thomas Willis, il fisico e chimico Michael Faraday; solo per dirne una manciata. Re Carlo II concedette la patente reale alla società accademica negli anni immediatamente successivi alla fondazione.
Queste personalità influenti, che siamo abituati a definire “scienziati”, non facevano del sapere scientifico il loro principale strumento di guadagno. I nomi appena citati si distinguevano nella società del tempo come avvocati, medici, mercanti, aristocratici e latifondisti. Ed è qui che sta la portata “rivoluzionaria” della Royal Society. Per la prima volta nella storia si riconosceva a livello accademico non tanto l’importanza in sé per sé della disciplina filosofico-naturale (volendosi esprimere con i loro termini), quanto il suo strutturale ausilio al progresso sociale.
A dimostrazione dell’animo pluralista della Royal Society, basti qui dire che l’iscrizione era aperta ad ogni “uomo che del mondo potesse dirsi cittadino”. Dopo il 28 novembre 1660 nulla sarebbe stato più lo stesso. Entrarono nella cerchia della Royal Society il polacco Johann Hevelius, l’olandese Antoni van Leeuwenhoek, il tedesco Gottfried Leibniz e l’americano John Winthrop. Impossibile non citare Isaac Newton, il cui Principia Mathematica (di cui vi parlai in questo vecchio articolo) venne stampato con l’imprimatur della Royal Society. Newton che al principio del Settecento diventerà anche presidente dell’associazione accademica.
Giusto concludere con la spiegazione dietro la scelta del motto, probabilmente da voi già udito o letto da qualche parte. Sotto lo stemma della società si trova l’iscrizione latina “Nullius in verba“. I costituenti adottarono il motto già nello statuto del 1662, esprimendo così un principio molto caro al sottoscritto: “Nullius in verba” significa “non dar fiducia alle parole di nessuno”. Allora come oggi risuona come un monito sacrale, il quale avvisa di non credere a niente se prima non si è fatto ricorso all’analisi empirica, razionale e verificabile delle informazioni. Insomma, non date nulla per scontato e chiedetevi sempre il perché delle cose…