Almanacco del 28 marzo, anno 193 d.C.: la guardia pretoriana assassina l’imperatore romano Pertinace, proclamato nel precedente gennaio. Gli stessi pretoriani metteranno l’impero all’asta, consegnandolo solamente al miglior offerente. Tra le pagine della storia romana (soprattutto per quanto riguarda il III secolo) non è complicato imbattersi in figure di imperatori o personaggi di spicco venuti meno per morte violenta. Il caso di Publio Elvio Pertinace però è diverso dagli altri, perché differente e originale è l’evoluzione della sua carriera militare ed infine politica. Una scalata al vertice partita dal nulla, culminata tuttavia nell’onore più alto per un cittadino romano.
Figlio di una facoltosa matrona e di un liberto, Pertinace nacque nell’agosto del 126, nell’attuale Alba (Piemonte). Egli venne educato a modo e a sua volta educherà, svolgendo il mestiere dell’insegnante. Grazie all’intercessione di un ambizioso patrocinante, il figlio del liberto mercante intraprese poi la carriera militare, talvolta con successo. In poco tempo scalò i ranghi, divenne infatti prefetto in Rezia, in seguito due volte console, prefectus Urbis e governatore in Britannia. Servì sotto gli Antonini, promettendo fedeltà ai vari Marco Aurelio, Lucio Vero e Commodo. Alla morte di quest’ultimo, avvenuta il 31 dicembre 192, Pertinace ricopriva la carica di prefetto del pretorio. Il giorno successivo, quindi il primo del 193, il senato riunito vide in lui l’uomo giusto al posto giusto. La giunta senatoria proclamò Pertinace imperatore.
Egli però dovette fare i conti con una situazione economica e finanziaria tutt’altro che rosea. I conti pubblici erano praticamente allo sbando e molti reclamavano compensi che in quel momento lo stato non poteva elargire. Pertinace quindi agì imitando Marco Aurelio, con una politica economica oculata, annunciata e subito messa in atto.
Peccato che tali provvedimenti andavano ad indebolire la classe che sul quel trono ce l’aveva messo: i pretoriani. Nell’idea di quest’ultimi, tutti i beni confiscati a Commodo e ministri affini sarebbero finiti nelle loro tasche. Pertinace però volle ridistribuire quelle risorse per alleggerire il carico fiscale sulla popolazione e i ceti più tradizionali, a lui vicini.
Qualche donativo alla fine riguardò la guardia pretoriana, ma oramai l’imperatore aveva toccato le sensibili corde della delusione: la sua fine era imminente. Sventata una prima congiura, Pertinace non si aspettò chiaramente una seconda, tra l’altro a stretto giro. Il 28 marzo del 193 i pretoriani assalirono il palazzo imperiale. Uno dei soldati, incurante delle preghiere dell’imperatore e del di lui segretario Ecletto, trafisse il primo con una lancia, permettendo agli altri congiurati di finirlo a suon di pugnalate. I pretoriani decapitarono Pertinace e sfilarono lungo le strade dell’Urbe con la testa infilzata su una stecca.
Fu così che l’impero finì all’asta, per volontà della guarda pretoriana. Se lo accaparrò il ricchissimo senatore Didio Giuliano, non prima di aver scatenato una guerra civile per la successione. Questa terminerà nello stesso 193 con la proclamazione imperiale di Settimio Severo. Ma questa è un’altra storia.