Almanacco del 26 gennaio, anno 1887: gli etiopi del negus Giovanni IV infliggono una sonante sconfitta alle truppe coloniali italiane nella battaglia di Dogali. Lo scontro ebbe luogo nella succitata località di Dogali, non lontano dalla costa eritrea e a circa 20 km dal porto di Massaua, sul quale batteva bandiera italiana da poco meno di due anni. L’eco della disfatta raggiunse velocemente il Vecchio Continente e pose in una situazione critica il Regno d’Italia, vista come una potenza imperialista di secondo o terz’ordine dai suoi vicini europei.
Prima di Dogali, la penetrazione italiana nell’Africa orientale aveva conosciuto importanti successi, politici e diplomatici più che militari. L’annessione formale della baia d’Assab nel 1882 e la presa del porto di Massaua nel 1885 avevano posto le basi per un ulteriore ed eventuale espansione verso l’altopiano eritreo. Se fino ad allora l’imperatore etiope Giovanni IV non aveva manifestato remore di alcun tipo, le cose cambiarono quando gli italiani misero le mani sul villaggio di Saati, nominalmente sotto la sovranità egiziana (come lo era Massaua), essenzialmente sotto il controllo dell’autorità del negus.
Le proteste dell’imperatore non sortirono effetto, perciò egli ordinò un’azione militare volta alla ripresa di Saati. Gli italiani del maggiore Giovanni Battista Boretti si erano rintanati nel forte del villaggio. Erano poco più di 700 uomini, la metà dei quali ascari, e non possedevano che qualche fucile e due cannoni. Avrebbero dovuto tenere testa all’assalto di 25.000 abissini. Nonostante le premesse tutt’altro che rosee, il 25 gennaio 1887 il presidio riuscì a tenere botta all’urto della prima ondata. Tuttavia Boretti sapeva che una seconda spinta etiope avrebbe causato il crollo delle difese. Chiese dunque aiuto al forte più vicino, quello di Moncullo.
I rinforzi partirono la mattina del 26 gennaio: munizioni, viveri e 548 uomini sotto il comando del tenente colonnello Tommaso De Cristoforis iniziarono la marcia per raggiungere al più presto Saati. Degli avvistatori etiopici riportarono al loro generale, Ras Alula signore di Asmara, lo spostamento della colonna. Ras Alula pensò di recare più danni agli italiani se avesse assalito la formazione in movimento invece di riprendere l’assedio al forte. Così fece e nella stessa mattinata del 26 gennaio 1887 mosse verso i rinforzi di De Cristoforis all’altezza di Dogali.
Quest’ultimi, presi in contrattempo, cercarono di resistere come possibile. La battaglia di Dogali si consumò in circa quattro ore. Gli abissini riuscirono prima ad accerchiare le truppe coloniali italiane su una collina per poi travolgerle facendo leva sulla forza dei numeri. Degli italiani ne morirono in 430, tra cui 23 ufficiali. Lo stesso De Cristoforis ci rimise la vita, così come Carlo Michelini di San Martino, secondo al comando.
Come anticipato in apertura, la sconfitta patita a Dogali fu uno scossone per la politica interna ed estera del regno. La battaglia rivelò la debolezza della preparazione militare italiana e mise in discussione la strategia coloniale del governo De Pretis. Dopo gli eventi del 26 gennaio 1887, la questione della colonizzazione dell’Eritrea passò dal Ministero degli Esteri a quello della Guerra. Si optò per un rafforzamento della collaborazione con Menelik, pretendente al trono etiope (che infatti otterrà nel 1889) e per quanto possibile si cercò di non ripetere gli errori militari di Dogali. La storia la conosciamo: quello del 1887 fu il preludio di un più grande tonfo, avvenuto ad un decennio di distanza in quel di Adua…