Almanacco del 26 agosto, anno 1260: gli ultimi esponenti della famiglia Da Romano, altresì noti come Ezzelini, vengono trucidati per volere di Papa Alessandro IV, al secolo Rinaldo dei signori di Jenne. I Da Romano, discendenti secondo tradizione da Arpone, un modesto cavaliere calato in Italia nel 1036 con il sacro romano imperatore Corrado II detto il Salico, si affermarono progressivamente come una delle famiglie più potenti nel nord-est della penisola. In quanto nobili di lunga data (i documenti a noi pervenuti smentiscono la tradizione che parla di discrezione e sobrietà), tra XI e XIII secolo i Da Romano si inserirono a pieno nel contesto delle lotte tra Papato e Impero.
Diversi furono gli esponenti di spicco. Vedasi Ezzelino I (1100…1115 – dopo il 1183), che in vita acquisì numerose terre e proprietà, arrivando addirittura ad essere uno degli artefici della Lega Lombarda, nata per contrastare l’imperatore Federico Barbarossa in Italia. O ancora suo figlio, Ezzelino II (1150 ca. – 1232…1235), il quale prima di darsi a vita monastica, fu podestà di Treviso, Verona e Vicenza. Ma è sui figli di costui che è incentrata la vicenda odierna, conclusasi con un massacro il 26 agosto 1260. Essi furono rispettivamente il primogenito Ezzelino III e il più piccolo Alberico.
Partiamo dal primo. Ezzelino III da Romano (1194 – 1259) fu probabilmente il più noto membro della casata. In un tempo nemico, in un altro alleato di Federico II di Svevia, si distinse come il più valido dei ghibellini. Valoroso condottiero e abile politico, accrebbe la propria ambizione a tal punto da assumere gli atteggiamenti tipici di un tiranno (così lo definiscono le fonti papali, a lui avverse). Non per caso guadagnò un soprannome come il Terribile. La stretta alleanza con l’impero permise ai Da Romano di assoggettare una quantità di territori considerevoli. I loro possedimenti comprendevano de facto le terre che dall’Oglio e dal Po si estendevano fino a Trento e alla Marca Trevigiana inclusa.
Con la morte dello Stupor mundi nel 1250, cessarono le fortune di Ezzelino III. Prima la scomunica del pontefice Alessandro IV, poi la crociata indetta nei suoi confronti, lo portarono alla rovina. Perse la battaglia contro i guelfi a Cassano d’Adda e morì in cattività presso Soncino, nel 1259. Se il lascito culturale di Ezzelino il Terribile fu raccolto nientemeno che da Dante Alighieri, il quale lo collocò nell’Inferno (Canto XII), a raccogliere l’eredità politica e terriera fu suo fratello minore, Alberico.
Alla crociata voluta fortemente dal pontefice parteciparono a quel punto grandi centri urbani come Vicenza, Venezia, Treviso e, più arditamente, Ferrara. Basti ricordare come fu Azzo d’Este a sconfiggere Ezzelino III da Romano. Con i crociati che risalivano fin sopra il Veneto, Alberico e la sua famiglia si videro costretti a fuggire da Treviso. Essi si serrarono nel castello di colle Castellaro (non più esistente, oggi comune di San Zenone degli Ezzelini). L’assedio di San Zenone durò ben 10 mesi e alla fine decretò la sconfitta di Alberico. I guelfi lo fecero prigioniero, così come tutta la sua famiglia, secondo la sentenza emessa e pronunciata a Treviso nel marzo del 1260.
La succitata recitava: “Se Alberico da Romano e la sua famiglia fossero finiti nelle mani dei trevigiani, i figli maschi sarebbero stati decapitati, le figlie femmine e la moglie sarebbero state bruciate vive e per ultimo Alberico sarebbe stato trascinato alla coda di un cavallo per le strade di Treviso”.
Sulle ultime ore dei Da Romano ci illumina il frate Salimbene da Parma, grazie alla sua Cronica. Iniziando l’atroce racconto con la formula “Vidi ista oculis mei” che si traduce in “Vidi questo con i miei occhi”, fra Salimbene dice come gli aguzzini prima bloccarono la bocca di Alberico con una morsa tagliente e poi lo condussero al cospetto del podestà di Treviso. Ancora una volta quest’ultimo lesse la condanna e ne ordinò l’esecuzione. Il boia trascinò uno per uno i figli di Alberico di fronte al ceppo. Tagliò loro la testa, assicurandosi che il disperato capofamiglia guardasse. Le figlie e la moglie non fecero una fine migliore: denudate e arse al rogo.
A quel punto Alberico impazzì e perse i sensi. Al che i giustizieri lo legarono alla coda di un cavallo e lo trascinarono tra i carboni ardenti e gli arbusti spinosi. Deceduto, il suo corpo e quelli dei familiari andarono incontro allo squartamento postumo. Terminava così, il 26 agosto del 1260, la dinastia dei Da Romano.