Almanacco del 24 marzo, anno 1603: Tokugawa Ieyasu riceve il titolo di shōgun dall’imperatore giapponese Go-Yōzei. Ha ufficialmente inizio il ben noto periodo Edo, che durerà fino al 1867. Già in passato abbiamo trattato la figura del primo Tokugawa, fondatore di una fortunata e longeva dinastia shogunale. Oggi, ricordando gli eventi di quel lontano 24 marzo, desidererei concentrarmi maggiormente sul significato che la carica onorifica assunse e sul motivo della sua concessione proprio in quei giorni primaverili di quattro e rotti secoli fa.
Prevalendo sulla fazione avversa degli Ashikaga nella grande battaglia di Sekigahara (21 ottobre 1600), la coalizione con a capo Tokugawa Ieyasu poté finalmente unificare il Giappone sotto un unico potere dominante. Nel concreto si andò a completare ciò che era stato già iniziato dal compianto Oda Nobunaga. Ieyasu procedette nei successivi anni secondo una massiccia opera accentratrice, destituendo molti daimyō (signori feudali) e depotenziandone altrettanti. Gli alleati al contrario goderono fin dal principio della spartizione del bottino di guerra e dei privilegi appositamente concessi.
Il 24 marzo del 1603 l’imperatore Go-Yōzei, conscio del potere ormai inarrivabile del membro del clan Tokugawa, concede lui il titolo di shōgun (una sorta di “generalissimo”). Ciò avvenne a trent’anni di distanza dall’ultimo periodo shogunale. Prima di approfondire il significato intrinseco della carica, è bene ricordare come Ieyasu sposti nella città di Edo (attuale Tokyo) la sede shogunale. La scelta trasformò de facto il già importante centro urbano nella capitale politica e militare dell’intero paese. Formalmente però la sede imperiale restava Kyoto.
Detto ciò, quale valore assunse la concessione del 24 marzo 1603? Perché il titolo di shōgun comportava una serie di poteri – ma anche di responsabilità non indifferenti – in grado di elevare la figura di chi li otteneva quasi (anche senza quasi) al di sopra dell’imperatore stesso? Per comprenderlo bisogna risalire all’origine e alla “creazione” del medesimo titolo, tra VIII e IX secolo. Shōgun letteralmente significa “comandante dell’esercito”. Il nome però risulta essere l’abbreviazione del più lungo sei-i taishōgun, ovvero “grande generale dell’esercito che sottomette i barbari”. Per barbari si intendevano le popolazioni autoctone che vivevano nel nord-est del paese, storicamente restii all’accettazione del potere imperiale e perciò da sottomettere, se non addirittura estirpare.
Tuttavia la funzione della carica si estese nel XII secolo, durante la prima dinastia shogunale, quella dei Kamakura (1192-1333). Esso divenne un titolo di carattere ereditario (che solo alcune tra le famiglie più prestigiose potevano ottenere) in grado di conferire alla persona d’interesse poteri dittatoriali esercitabili sia in campo politico che in campo militare. A quest’altezza cronologia – e almeno fino all’inizio dell’epoca Tokugawa – essere shōgun equivale ad essere cancelliere nelle coeve monarchie europee. Capi di governo con ampi margini decisionali seppur facenti parti di una formale diarchia in cui il potere istituzionale e religioso è invece affare dell’imperatore. Saranno i Tokugawa, perciò a partire dal Seicento, a scardinare questa ambivalenza, relegando l’imperatore a figura puramente formale e dallo scarso valore pragmatico/politico.
Per concludere il discorso sul senso stesso della carica shogunale, è necessario fare passi avanti fino alla seconda metà del XIX secolo. Con la Restaurazione Meiji e lo smantellamento del dominio Tokugawa, l’imperatore tornò ad esercitare un discreto e riconoscibile potere politico. Ciò poté accadere solamente dopo secoli e secoli di oscuramento e “privazione” della dignità regale. Un esempio più unico che raro se pensiamo ad altri contesti di tipo monarchico ravvisabili in giro per il mondo.