Almanacco del 23 settembre, anno 1868: scoppia la prima di due rivolte di breve durata ma dalla forte intensità sull’isola di Porto Rico, allora parte del decadente Impero spagnolo. Le sollevazioni isolane indirizzarono tutto il malcontento della popolazione contro il dominio spagnolo, ritenuto ingiusto, vessatorio e fiscalmente opprimente.
Un po’ di contesto non guasta mai. Oltre al caso portoricano, la Spagna in quella seconda metà del XIX secolo aveva ulteriori gatte da pelare in America Latina. Basta elencare le guerre con Cile e Perù o la ribellione servile di Cuba per comprendere l’entità degli scossoni che piano piano stavano facendo crollare il sistema coloniale iberico. Per sostenere suddetti sforzi bellici e amministrativi, Madrid aumentò in più di un’occasione la già asfissiante pressione fiscale nei domini caraibici. Cuba e Porto Rico ne risentirono particolarmente, vivendo per gran parte dell’Ottocento una crisi economica senza eguali generata dalle rapaci politiche coloniali; tra queste si ricordi almeno la decisione di apporre dazi sui beni d’importazione ed esportazione a danno delle popolazioni locali.
Per un ventennio, all’incirca dai primissimi anni ’50 fino agli ultimi ’60 del XIX secolo, tanto gli indipendentisti portoricani quanto coloro che, lungi dal desiderare l’indipendenza, chiedevano solamente delle riforme liberali per alleggerire la pressione coloniale sull’isola, finirono continuamente in prigione o in esilio. Seppur con evidente ritardo, Madrid sembrò cogliere la delicatezza della questione e istituì una “Commissione informativa sulle riforme d’oltremare” (“Junta Informativa de Reformas de Ultramar”). Rappresentanti eletti da ogni provincia d’oltremare si sarebbero riuniti a Madrid e avrebbero esposto tutte le problematiche del caso al Ministro di Stato (Ministro de Estado). Allora la carica era ricoperta da Emilio Castelar y Ripoll.
A Porto Rico le acque risultarono particolarmente agitate fin da subito. Tanti sostenevano l’indipendenza, ma i componenti della delegazione rappresentativa che si sarebbe recata in Europa erano quasi tutti lealisti. Può quantomeno sembrare strano, ma esiste una spiegazione: gli elettori aventi diritto erano proprietari terrieri caucasici maschi, arricchitisi grazie alle ampie licenze spagnole. Si spiega così l’anima lealista della delegazione portoricana. Lo status quo generò, come previsto, destabilizzazione nella Capitaneria Generale di Porto Rico (il nome ufficiale della colonia era questo).
Il comitato lealista e alcuni dei massimi esponenti della fazione indipendentista si incontrarono nella città di Carolina per un confronto verbale. All’incontro partecipò tra gli altri Ramón Emeterio Betances (considerato il padre della nazione portoricana). Dopo aver incassato la bocciatura di ogni proposta d’emancipazione da parte del comitato, egli sbottò gridando “Nadie puede dar lo que no tiene” (letteralmente “Non puoi regalare ciò che non possiedi”). La frase divenne un motto popolare, riferito all’impossibilità materiale della Spagna di concedere riforme concrete a Porto Rico o Cuba. Nei giorni successivi alla riunione Betances iniziò a lavorare sottotraccia per organizzare una ribellione armata.
Si formò un gruppo al capo del quale vi erano Ramón Emeterio Betances e Segundo Ruiz Belvis. Essi fondarono dunque il Comitato Rivoluzionario di Porto Rico (Comité Revolucionario de Puerto Rico) il 6 gennaio 1868. Entrarono a far parte del comitato numerosi volti noti della futura indipendenza portoricana, come la poetessa Lola Rodríguez de Tió (componitrice dell’inno nazionale di Porto Rico); Mariana Bracetti (la prima a tessere la bandiera del Porto Rico indipendente); Mathias Brugman e Manuel Rojas, entrambi generali de facto della milizia ribelle.
Era tutto pronto per l’insurrezione, programmata inizialmente per il 29 settembre. Data che cambiò repentinamente per via di alcuni contrattempi di carattere organizzativo. Si anticipò al 23 settembre 1868. Le cellule segrete del Comitato Rivoluzionario sparse ed attive su tutto il territorio avrebbero agito all’unisono. Serviva tuttavia un segnale, un primo atto che avrebbe dato l’esempio a tutti gli altri. I rivoluzionari scelsero la città di Lares. Il 23 settembre un commando di quasi 600 ribelli entrò in città. Saccheggiarono le attività gestite dai peninsulares (gli spagnoli trapiantati sull’isola per volere di Madrid), presero il municipio e issarono la prima bandiera portoricana. L’evento passò alla storia come il Grito de Lares (Grido di Lares).
Il giorno dopo, ossia il 24 settembre, venne proclamata la Repubblica di Porto Rico sotto la presidenza di Francisco Ramírez Medina. All’affrancamento dal dominio spagnolo seguì l’abolizione della schiavitù, sino ad allora vigente. Il massimo risultato raggiunto dalla ribellione fu questo, perché la reazione spagnola non tardò ad arrivare. Le forze ribelli partirono da Lares per prendere il controllo della città successiva, San Sebastián del Pepino. La milizia governativa, tuttavia, sorprese il gruppo con una forte resistenza e costrinse i ribelli alla marcia a ritroso di nuovo verso Lares. Su ordine del capitano generale Julián Pavía, la milizia spagnola accerchiò rapidamente i ribelli, li fece prigionieri e pose fine all’insurrezione. In 475 finirono dietro le sbarre, tra i quali Manuel Rojas e Mariana Bracetti.
Torture e privazioni attesero i prigionieri, per i quali fu prevista la pena capitale. Grazie all’intercessione di alcuni delegati portoricani a Madrid, il nuovo esecutivo democratico (governo provvisorio) guidato da Francisco Serrano – presidente dopo La Gloriosa del ’68 – concesse l’amnistia ai ribelli portoricani. Molti vertici della fazione indipendentista furono tuttavia obbligati all’esilio. Le loro azioni non furono vane. Il Grito de Lares nell’immediato costrinse la Spagna del sessennio democratico ad allentare la morsa fiscale ed economica sull’isola. Ma l’effetto cruciale si evinse sul lungo periodo. Sull’esempio di ciò che accadde il 23 settembre 1868 infuocheranno trent’anni dopo sull’isola le ultime ribellioni contro il potere centralista spagnolo. Purtroppo per gli indipendentisti, fallirono anch’esse e anzi, furono il preludio ad un cambio di dominio. Nel 1898 entrarono in gioco gli Stati Uniti d’America, ma questa è un’altra storia.