Almanacco del 23 marzo, anno 1885: infuria la battaglia di Phu Lam Tao nel contesto della guerra franco-cinese. La sconfitta delle truppe europee peserà enormemente sulla scena politica francese, decretando una serie di scandali e la conseguente caduta del governo Ferry, strenuo sostenitore dell’espansionismo coloniale nell’Indocina. Gli eventi del 23 marzo 1885 necessitano ovviamente di un chiarimento del contesto geopolitico, così da comprendere le cause dello scontro armato, le pretese delle parti coinvolte e le immediate conseguenze delle ostilità scatenatesi.
Nell’agosto del 1884 scoppiò una guerra tra Francia e Impero Cinese sotto la dinastia Qing per il controllo del nord vietnamita, regione comunemente nota col nome “Tonchino“. I feroci scontri che seguirono non videro la netta prevalenza di una parte o dell’altra. Dopo assedi, grandi o piccoli combattimenti, sommosse più o meno sedate, si giunse al suddetto 23 marzo 1885. A presiedere il comando del Corpo di spedizione del Tonchino vi era l’allora generale Louis Brière de l’Isle. Quest’ultimo ordinò alle sue truppe una ricognizione preliminare nel villaggio di Phu Lam Tao. La sensazione da parte dell’alto comando francese era che nel villaggio si trovasse un contingente armato nemico. Il presentimento si trasformò ben presto in nuda realtà. Sul posto erano stanziate truppe regolari dello Yunnan e mercenari delle Bandiere Nere (noti ai transalpini come “pirati”).
I resoconti francesi sull’accaduto furono abbastanza reticenti, ragion per cui si tende a credere come quella di Phu Lam Tao fosse stata una sconfitta abbastanza nitida. Il battaglione di Zuavi franco-algerini si lanciò all’assalto ma i cinesi non solo resistettero, ma li respinsero fino all’esterno del villaggio. La ricognizione preliminare assunse le sembianze di una ritirata con gravi perdite. Dei 1.000 soldati francesi, più di un centinaio ci rimise la pelle, a fronte di nessun guadagno territoriale. Ma il peggio doveva ancora arrivare.
Il giorno seguente i francesi subirono una terrificante sconfitta nella battaglia di Bang Bo; gli eventi fecero erroneamente pensare al generale Brière de l’Isle di star subendo una doppia offensiva cinese. In realtà le sconfitte del 23 e del 24 marzo furono estemporanee e non seguirono nessun presunto piano d’attacco da parte dell’esercito imperiale cinese. Il generale comunque trasse delle conclusioni pessimistiche e inviò a Parigi il famigerato “telegramma di Lạng Sơn“. Il contenuto del dispaccio si poteva riassumere nell’ammissione di un complessivo fallimento sul fronte del Tonchino, la perdita di molti uomini senza alcuna significativa avanzata. Come si può ben immaginare, dalle parti del Palazzo Borbone, sede dell’Assemblea Nazionale, scoppiò un putiferio politico quasi senza precedenti. In Francia ancora oggi lo ricordano per la virulenza delle parole spese in aula.
L’Affare del Tonchino si palesò in tutta la sua distruttività politica durante gli ultimi giorni di marzo del 1885. Le notizie dal fronte indocinese screditarono la figura del Presidente del Consiglio Jules Ferry, il quale, pur resistendo alle pressioni iniziali, si vide costretto a rassegnare le dimissioni. Fu un durissimo colpo (ma solo sul breve termine) per le pretese colonialiste francesi. Al contrario si rafforzò il partito avverso al colonialismo, che per un ventennio influenzò l’opinione pubblica proprio a causa dell’Affare del Tonchino. Il governo post-Ferry, presieduto dal tecnico Charles de Freycinet, concluse in fretta e furia un trattato di pace con la Cina, ponendo la parola fine nell’aprile del 1885 alla guerra.
De facto il Tonchino il divenne un protettorato francese, ma la Cina si risparmiò le spese di guerra a favore della Francia. Ciò pose in una situazione di imbarazzo Parigi, soprattutto di fronte al rampante colonialismo europeo, tristemente attivo e remunerativo in ogni parte del mondo.