Almanacco del 22 marzo, anno 1450: Francesco Sforza riceve dall’arengo della città di Milano lo scettro, lo stendardo con la vipera viscontea e l’aquila imperiale, il sigillo, la spada e le chiavi cittadine; lo Sforza si insedia ufficialmente in veste di nuovo duca di Milano. Dell’ascesa al potere di Francesco Sforza vi parlai già in un vecchio articolo, ragion per cui gradirei concentrarmi, per l’occasione, sul contesto milanese immediatamente prossimo all’insediamento sforzesco. Per farlo è necessario descrivere gli attori in gioco e le componenti interessate dalla vicenda. Dunque facciamo un piccolo passo indietro e torniamo al 1447.
Filippo Maria, l’ultimo dei Visconti, è venuto a mancare e il più forte tra i pretendenti è il genero Francesco Sforza, da anni sposato con Bianca Maria Visconti. L’eredità è pesante e non tutti i cittadini vedono di buon occhio quel conticello dal fare arrogante. La parte più rumorosa del popolo meneghino prevale e proclama la nascita dell’Aurea Repubblica Ambrosiana. La nuova entità vuole colmare il vuoto di potere creatosi alla morte di Filippo Maria Visconti e allo stesso tempo deve contrastare le mire dello Sforza. Il condottiero non agisce subito ma aspetta poco meno di un biennio prima di puntare Milano. Giusto il tempo di stringere accordi con Venezia per il rifornimento di armi e truppe e sottomettere le poche città rimaste fedeli alla neonata repubblica. Cito Novara, Melegnano e Vigevano, per fare qualche esempio.
Francesco Sforza pose sotto assedio la città di Milano per sei mesi, dal settembre 1449 al febbraio 1450. Venezia ebbe anche il tempo di rompere gli accordi pattuiti con lo Sforza, ritenuto dal doge troppo potente e perciò pericoloso per gli equilibri politici del settentrione italiano. Il popolo milanese, sfiancato dall’indecisionismo dei suoi governanti e stremato dalla fame, si ribellò e aprì le porte al condottiero il 25 febbraio. In tal contesto c’è da dire come giocarono un ruolo decisivo gli sforzeschi, nell’atto di persuasione della cittadinanza. Primo fra tutti ci fu Gaspare da Vimercate.
Il capitano di ventura, accampato fuori città nonostante la vittoria, ricevette dal Vimercate l’invito a varcare le mura. Francesco non volle comunque abbassare la guardia e avvertì i suoi fidati di mantenere alta l’allerta. Ciò non lo distolse dal preparare un corteo che lo precedesse e che distribuisse viveri alla plebe accorsa. Di fatto in quei giorni di fine febbraio lo Sforza fece il suo primo e ufficioso ingresso in città. L’ancora non eletto duca ristabilì i rifornimenti, permettendo il commercio e lo svolgimento delle mansioni ordinarie. Per farsi perdonare dai meneghini, egli ordinò l’esenzione dei dazi per tutte le derrate alimentari che transitavano per la città.
Solamente il 3 marzo i milanesi riconobbero, tramite atto scritto e firmato, Francesco Sforza come legittimo marito di Bianca Maria Visconti e perciò come degno erede ducale. L’11 marzo l’Assemblea Generale riunitasi decretò altresì la legittimità ereditaria dei figli maschi nati dalla coppia (tutta la linea dinastica a partire da Galeazzo Maria). Il 22 marzo Francesco Sforza, accompagnato dalla famiglia e dai suoi fedeli, attraversò Porta Ticinese (non sul carro trionfale, che rifiutò per rispetto dei milanesi ancora provati dalla fame) facendo il suo ingresso formale nella città e dirigendosi verso il Duomo. Sul luogo l’arengo gli consegnò lo scettro, lo stendardo, il sigillo, la spada e le chiavi della città. Il gesto stava a significare potestatem, dominum et ducatum annexum, ovvero la potestà, la signoria e il ducato di Milano.
Dopo la nomina congiunta di oltre 50.000 cavalieri già suoi servitori, seguirono cinque giorni di festa. Quel 22 marzo 1450 significò tanto, tantissimo per Milano e l’intero panorama politico italiano. La Storia successiva è esemplificativa in tal senso, ma questo è argomento per altri futuri appuntamenti.