Almanacco del 22 giugno, anno 168 a.C.: per poco meno di due ore infuriò la Battaglia di Pidna tra i legionari romani, al comando dei quali si trovava il console Lucio Emilio Paolo, e l’esercito di re Perseo, ultimo re di Macedonia. Lo scontro si svolse nel contesto della terza guerra macedonica (171-168 a.C.) e segnò il definitivo tracollo del regno ellenistico, nonché dell’intera area balcanica, ora sottomessa allo stendardo repubblicano di Roma.
Vale la pena, per una miglior comprensione dell’accaduto, presentare velocemente gli antefatti dai quali scaturì la battaglia del 22 giugno 168 a.C. Se c’è una cosa che Filippo V – ovvero il precedente sovrano macedone, nonché padre di Perseo – trasmise all’erede primogenito fu un profondo odio per Roma. Promotore di ben due guerre contro l’Urbe (la prima tra il 214 e il 205 a.C., la seconda dal 200 al 197 a.C.) Filippo ne uscì quasi sempre con le ossa rotte. Il sovrano ellenistico non era in grado di porre un freno all’espansionismo romano nella sua area d’interesse (l’Adriatico via mare, i Balcani e la Grecia via terra). Morì lasciando l’arduo compito al figlio Perseo.
Salito al trono nel 179 a.C. Perseo avviò un’aggressiva politica estera con il chiaro intento di riacquisire il prestigio perduto negli ultimi decenni. Non solo, il giovane re cercò di affermare nuovamente il dominio della Macedonia sui vari regno balcanici. Peccato che la maggior parte di questi godessero, da tempi non sospetti, dello status di clientes al cospetto della Repubblica Romana. L’arroganza (agli occhi degli autori romani) di Perseo andava punita: così scoppiò il conflitto.
In realtà le prime operazioni belliche si presentarono come un successo targato Perseo. I generali romani fino a poco tempo prima della terza guerra macedonica avevano avuto a che fare con molteplici sollevazioni in Illiria. I piccoli focolai di ribellione fiaccarono i legionari, dunque quando si arrivò alle armi con la falange macedone, quest’ultima ebbe gioco facile nel prevalere. Nel 169 a.C. il console Quinto Marcio Filippo, pur non ingaggiando i macedoni in una vera e propria battaglia, sfondò l’ostico fronte meridionale. Più o meno all’altezza del Monte Olimpo. L’evento diede modo ai romani di riversarsi nelle colline sottostanti e lungo la costa, così da pianificare un combattimento su larga scala con gli uomini del re macedone. Nel mentre, Lucio Emilio Paolo diventava per la seconda volta console (marzo 168 a.C.). Il senato poté concedergli così la guida dell’esercito.
Brevissima digressione che spero mi perdonerete. Il confronto tra Roma e Regno di Macedonia era prima di tutto una contrapposizione ideologica sul modo di intendere la guerra. Da una parte vi era il manipolo romano, piccola formazione di legionari (dai 60 ai 120) contraddistinta da grande mobilità e veloce adattamento al tipo di terreno affrontato. Dall’altra parte spiccava la temutissima falange macedone, certamente meno mobile, ma spaventosa nella sua compattezza. Anni dopo la battaglia, stando a fonti senatoriali, lo stesso Lucio Emilio Paolo ammise di aver sperimentato sincero timore di fronte al fitto ed impenetrabile schieramento macedone.
Detto ciò, quando si arrivò alla resa dei conti il 22 giugno 168 a.C., la strategia romana annullò la coesione e la densità della falange. Con una finta ritirata il console attirò verso di sé le truppe di Perseo. Per inseguire i legionari, le truppe macedoni ruppero il rigido schieramento. Mai mossa fu più avventata. Il contrattacco romano, micidiale per velocità d’esecuzione e incisività, sbaragliò la totalità dell’esercito avversario. Per qualche motivo Perseo non chiamò a combattere un contingente di 10.000 macedoni, attirando su di sé il giudizio negativo degli storici contemporanei e futuri e compromettendo l’esito dello scontro.
I legionari bloccarono la fuga del monarca macedone. Fatto prigioniero, Perseo si vide costretto a sfilare in catene durante il trionfo di Lucio Emilio Paolo, il quale da allora passerà alla storia come “Macedonico“. La Battaglia di Pidna segnò, come anticipato nelle prime battute, la sottomissione della Macedonia alla potenza repubblicana e il tramonto della leggendaria falange macedone.