Almanacco del 20 novembre, anno 1441: la Repubblica di Venezia e il Ducato di Milano depongono momentaneamente le armi firmando la pace di Cremona. Nella città lombarda le due potenze settentrionali ratificarono quanto già stabilito a Craviana (nell’alto mantovano) tre mesi prima, quando si firmarono gli accordi preliminari per una tregua. Gli eventi di quei mesi rappresenteranno da una parte un punto d’arrivo per la diplomazia italica, in seguito ad anni ed anni di guerra in Lombardia per il predominio generale, dall’altra però furono anche il preludio all’ultima, sanguinosa, fase delle guerre in Lombardia, che si concluderanno ufficialmente con la ben nota pace di Lodi del 1454.
La pace di Cremona dunque non è altro che un tassello, seppur importante, di un quadro politico e militare ben più complesso del previsto. Per quasi tutta la prima metà del XV secolo Milano e Venezia – alleati inclusi – si scontrarono per ottenere il tanto agognato predominio sul centro-nord. Ad esser precisi, gli scontri durarono dal 1423 al 1454. La storiografia moderna tende a suddividere tale lasso temporale della durata di 31 anni in cinque periodi distinti. Essi corrispondono a cinque fasi della grande guerra in Lombardia, tra di loro concatenate ma mai identiche l’una con l’altra (né per andamento, né per uniformità degli schieramenti, né per esito).
Delle convenzionali cinque fasi, la pace di Cremona del 20 novembre 1441 va a concludere il quarto e penultimo periodo (1438-1441). A cinque anni dall’ultima battaglia, la situazione centro-settentrionale tornò incandescente nel 1438 più per volontà dei capitani di ventura (che dovevano pur vivere di qualcosa) che delle potenze da quest’ultimi servite. Figura cruciale dunque fu Niccolò Piccinino, il quale sotto il soldo di Milano e della famiglia Visconti, fece riconoscere con la forza l’autorità ducale in città importanti come Ravenna e Bologna. Tentò la medesima sorte nei territori di competenza veneziana (Brescia, Bergamo, Verona).
La Serenissima reagì prontamente: chiamò dalla sua parte gli alleati fiorentini, mise in piedi una folta lega anti-viscontea e soprattutto si assicurò i servigi di una scheggia impazzita quale Francesco Sforza, ex fedele servitore del Ducato di Milano. Al Piccinino restò ben poco spazio di manovra. Quando neppure lui seppe come porre un freno all’avanzata degli avversari, Milano cercò la tregua. Mediatore di quelle trattative fu proprio lo Sforza.
Sotto la supervisione del condottiero Sforza e grazie al reciproco accordo tra Venezia e Milano, a Cremona la mappa politica dell’Italia centro-settentrionale subì qualche leggera variazione. Filippo Maria Visconti ne uscì indebolito e non tanto da un punto di vista territoriale (ove anche lì non poté certo sorridere). Il duca dovette concedere la mano di sua figlia Bianca Maria allo stesso Francesco Sforza che qualche anno prima aveva giudicato “fellone”. Cremona ed il suo contado era il “regalo” di nozze che Filippo Maria Visconti donava alla coppia di novelli sposi. Infine Milano riconobbe l’indipendenza di Genova e promise di non ficcare più il naso nelle questioni toscane e romagnole.
I Gonzaga (alleati di Milano) perdettero numerose cittadine in prossimità del Garda, vedendo svanire uno sbocco sullo specchio d’acqua. Di converso Mantova poté giovarsi di alcuni centri padani, come Castel Goffredo, Castiglione e Solferino. Firenze si tenne per sé il casentino. Niccolò Piccinino ottenne un contentino territoriale nel parmigiano, ma nulla più di questo. Concludiamo con la Repubblica di Venezia, che con la pace del 20 novembre 1441 fece jackpot. La Serenissima guadagnò terra fino alle sponde dell’Adda, segnando così la sua massima espansione su terraferma. Mantenne inalterata la signoria su Brescia e Bergamo, così come divenne l’autorità competente per Riva, Torbole e Ravenna.