Almanacco del 20 marzo, anno 1731: un evento disastroso sconvolge il sud della penisola italiana. La catastrofe naturale passerà alla storia come il “Terremoto di Foggia”. Per la città di Foggia esiste un prima e un dopo il 20 marzo 1731. Anteriormente alla nefasta data, guardando al capoluogo pugliese, si scorge una città fiorente e in crescita, sia da un punto di vista demografico che per volume di commerci. Non dimentichiamo poi la sensibile fioritura culturale di quegli anni.
Foggia si attesta come seconda forza del Regno di Napoli, dietro l’inarrivabile (per centralità amministrativa e importanza storica) capitale. Una condizione rilevante per un centro urbano che può vantare sontuosi palazzi signorili, chiese e conventi in ogni angolo, edifici pubblici e un fervore di popolo secondo a nessuno. È tutto apparecchiato affinché la seconda città del regno si affermi, una volta per tutte e in modo perentorio, anche economicamente parlando. Ma un giorno della seconda metà di marzo di un anonimo 1731 scombina le carte in tavola, distruggendo speranze e sogni di gloria.
All’alba del 20 marzo il suolo sotto Foggia trema, sobbalza furiosamente, scuote e percuote. Le case van giù come mattoncini mal posti uno sull’altro. C’è sconcerto tra i residenti, i quali capiscono cosa sia realmente accaduto una volta posata la polvere. Studi non troppo remoti nel tempo hanno evidenziato come il famigerato sisma avesse raggiunto il IX grado della scala Mercalli. A giustificare l’indice nella scala di valutazione c’è un dato riportato persino dalle testimonianze coeve: 2/3 della città svanirono in un mucchio di macerie.
Prima di citare qualche fonte dell’epoca, è bene sottolineare come la catastrofe, la distruzione, il disagio, non furono vocaboli noti solo ai foggiani. Si ebbe presto notizia di danni irreversibili presso Cerignola, Canosa di Puglia, Molfetta, Barletta e altri centri lungo il Tavoliere. Suggestive le parole del cronista Lodovico Antonio Muratori nei suoi Annali d’Italia, testo pubblicato nel 1749. Scrisse così il Muratori: “Foggia tutta fu convertita in un monte di pietre e più di tremila persone rimasero seppellite sotto le diroccate case. Non restò pur uno de’ sacri templi e chiostri in piedi; e frati e monache ed altri abitanti, ch’ebbero la fortuna di scampare, andarono raminghi per le desolate campagne, cercando e difficilmente trovando un tozzo di pane per mantenersi in vita”.
Una relazione sul terremoto del 20 marzo 1731, redatta da un anonimo qualche giorno dopo i fatti, si esprime così: “Fu la scossa orribile dal tremuoto e con molti diversi instantaneamente, tanto che in essa città di Foggia in instante rovinarono la maggior parte degli edifici tanto di chiese, che di particolari. Prima si vidde caduta e rovinata in gran parte della città, e sepolta molta gente sotto le pietre. Durò questo così fiero moto per cinque minuti d’ora. Indi fra lo spazio di un’ave ripigliò fieramente con lo stesso vigore…” – prosegue ansiosamente il testo – “Cessato che fu il tremuoto, e cadute le abitazioni, il nembo della polvere, le grida della gente, che procurava salvarsi, chi ignudo, e chi mezzo coverto, la confusione e i gemiti di coloro, che mezzo atterrati dalle rovine imploravano, erano in tal spavento e orrore, che giunto rassembrava il giorno estremo”.
La tradizione popolare lega all’evento l’apparizione della Madonna dei sette veli. La figura caritatevole sarebbe apparsa due giorni dopo il finimondo per confortare gli animi affranti dei foggiani riunitisi presso la Chiesa di Santa Maria di Costantinopoli. Foggia non fu più la stessa dopo quel dì.