Almanacco del 2 settembre, anno 1980: scompaiono a Beirut i giornalisti Italo Toni e Graziella De Palo. Di loro si perderanno per sempre le tracce, ma il caso assumerà ben presto una rilevanza internazionale. Le mille ipotesi sulla loro fine, le ricerche e gli indizi alimenteranno uno dei misteri più fitti e apparentemente irrisolvibili che l’Italia abbia mai conosciuto. Indagavano su una delicatissima e, per certi versi, pericolosa questione: il traffico d’armi tra il nostro paese e il Medio Oriente. A distanza di 44 anni, la verità su cosa sia accaduto il 2 settembre 1980 ancora è lontana dall’essere rivelata.
Due giornalisti per molti, due pericoli per chissà quanti altri. De Palo e Toni operavano in un’epoca in cui la professione del giornalista, seppur osteggiata, talvolta con mezzi estremi, se onorata a modo riusciva ad erodere le pareti dell’omertà, sgretolando quanto di marcio il mondo nascondeva e mostrando a tutti l’infallibile realtà dei fatti. Forse per questo risultavano essere, come tanti colleghi prima e dopo di loro, irrimediabilmente “scomodi“. Una scomodità di cui liberarsi, una scomodità da cancellare. Quella duplice “scomodità” che aveva osato infilare il naso in un intreccio scabroso riguardante SISMI (Servizio informazioni e sicurezza militare; i servizi segreti in poche parole), industria bellica italiana e vivaci attori mediorientali di cui non è dato sapere il nome ma la militanza politica.
Italo Toni all’epoca della vicenda aveva 50 anni tondi tondi e una carriera alle spalle di tutto rispetto. Preparatissimo sulle questioni del Vicino Oriente, nel 1968 una sua inchiesta per il Paris Match aveva rivelato – primo al mondo a farlo – l’esistenza di campi d’addestramento creati ad hoc per i guerriglieri palestinesi. Graziella De Palo, che rispetto al collega di anni ne aveva quasi la metà, 24. Lei che aveva lavorato per l’agenzia stampa del Partito Radicale, nonché per l’Astrolabio, periodico romano nato dagli ex-azionisti Ernesto Rossi e Ferruccio Parri ma allora diretto da Luigi Anderlini, indipendente eletto nelle liste del PCI. Da qualche anno prima del fatidico 2 settembre 1980 scriveva pezzi taglienti e mai scontati per Paese Sera.
De Palo era riuscita a captare qualcosa sul “Lodo Moro“, intervistando l’onorevole socialista Falco Accame, già presidente della commissione difesa della Camera. Il Lodo Moro era a tutti gli effetti un patto di non belligeranza tra lo Stato italiano e il FPLP (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina), a sua volta entro le maglie dell’OLP. L’accodo era essenzialmente questo: l’Italia non avrebbe perseguito i militanti palestinesi e avrebbe permesso loro il transito sul suolo nazionale e in cambio avrebbe ottenuto garanzie sull’assenza di attività terroristiche atte a colpire Roma. Quasi un ricatto, che la spigliata 24enne volle mettere in evidenza in un articolo datato 21 marzo 1980, laconicamente intitolato “False vendite, spie, società fantasma: così diamo armi”.
Su invito del rappresentante romano dell’OLP, Nemer Hammad, i due cronisti partono il 22 agosto da Roma alla volta di Damasco, in Siria. Il giorno successivo mettono piede a Beirut, nella sezione della capitale dove vige il mandato siriano. Lì opera Al Fatah sotto la direzione di Yasser Arafat. Quest’ultimo predispone per i due giornalisti una stanza d’hotel e un interprete, un sacerdote cattolico palestinese.
Preoccupati per la loro incolumità, il 1° settembre De Palo e Toni comunicano all’ambasciata italiana in Libano la loro intenzione. I due vogliono recarsi nel sud del paese, nella tana dell’OLP. La destinazione esatta è il Castello di Beaufort, dove i raid israeliani sono frequenti per via della guerra in corso. Dopo aver ottenuto delle rassicurazioni dai connazionali in ambasciata, il giorno successivo, il 2 settembre, si preparano a partire. Un fuoristrada li aspetta non lontano dall’hotel. Ma sul veicolo non saliranno mai. Le notizie ufficiali si interrompono qui, perché nella mattinata del 2 settembre 1980 Graziella De Palo e Italo Toni scompaiono senza lasciare traccia alcuna.
Tutto ciò che viene dopo è una sorta di rincorsa verso una verità labile, evanescente, fugace quanto basta per sviare ogni maledetta ricerca. In ambasciata, a Beirut, i giornalisti si erano sentiti rassicurati dalla promessa per la quale, in caso di assenza prolungata (più di tre giorni), le autorità italiane avrebbero dato il via alle ricerche. Queste effettivamente partirono, ma due settimane in seguito alla scomparsa. Aspettate perché c’è la beffa. La Farnesina avvierà un fascicolo sul caso solo ad ottobre. Il Ministero degli Esteri affiderà il comando delle operazioni a Stefano Giovannone, capocentro del SISMI, la stessa figura sulla quale De Palo stava indagando per le relazioni Italia-FPLP. Capite bene che c’è un leggerissimo conflitto d’interessi…
Tra il 1980 e il 1985 si rinseguono voci su voci in merito alla scomparsa. Arafat sostiene che i due giornalisti siano stati rapiti dai cristiani maroniti. La stessa versione viene confermata due anni dopo dall’intelligence dell’OLP. La Chiesa d’Oriente si smarca dalle accuse (anche con prove incontrovertibili) e rimanda la palla al centro. Bettino Craxi, nel 1984 presidente del consiglio, pone il segreto di stato sulla storia. Un anno dopo la procura di Roma dirama il mandato d’arresto per George Habbash dell’OLP, accusato di essere l’assassino di Italo Toni e Graziella De Palo. Il giudice titolare dell’inchiesta però chiede anche il rinvio a giudizio del colonnello Giovannone e del direttore del SISMI, Giuseppe Santovito, per favoreggiamento. Seguirà un naturale e scontato proscioglimento.
Il segreto di stato decade nel 2009, ma dalle carte decrittate non esce nulla di nuovo, né sulla scomparsa dei giornalisti, né sul Lodo Moro. A distanza di decenni, la Repubblica Italiana non riconosce Toni e De Palo come vivi, tantomeno come morti. Il mistero, quello sì, vive eccome.