Almanacco del 2 luglio, anno 1816: la fregata francese Méduse si incaglia sulle secche del Banc d’Arguin, al largo della costa mauritana. L’evitabilissimo incidente, frutto della più becera ed arrogante incompetenza, costò la vita a 140 persone e ispirò il pittore Théodore Géricault per la sua opera maestra La zattera della Medusa (Le Radeau de la Méduse).
La vicenda fu già da allora emblematica delle criticità sociali francesi, uno Stato (non l’unico, non l’ultimo) in cui si poteva essere qualcuno solo per titolo e mai per merito. Erano gli anni della Restaurazione. La tempesta napoleonica era passata da poco e la Francia era tornata ad essere un regno sotto la stabile guida dei Borbone. Nel giugno del 1816 la fregata Méduse – accompagnata da altri tre vascelli – partì da Rochefort in direzione del porto di Saint-Louis, sulle coste del Senegal. Il presupposto alla base della spedizione era l’accertarsi dell’effettiva restituzione della colonia da parte inglese, come prestabilito dal Trattato di Parigi di due anni prima. A bordo della Méduse vi era sia personale militare che una folta componente civile, rappresentata dai coloni e dalle loro rispettive famiglie.
Nulla di strano fin qui, se non per il fatto che al comando della fregata ammiraglia vi fosse Hugues Duroy de Chaumareys, un vecchio capitano che però non solcava le onde del mare da più di vent’anni. Uomo ligio alla corona come pochi altri, non plus ultra dell’aristocrazia parigina, ma dall’esperienza di navigazione davvero irrisoria. L’inadeguatezza del capitano avrebbe condotto tutti verso la malora. Qualcuno captò il sentore di quella disgrazia ben prima del fatidico 2 luglio.
Prima di tutto de Chaumareys aumentò e di molto la velocità d’andatura, distanziandosi dalle alte imbarcazioni che in teoria avevano il compito di scortare la Méduse. Questo perché nelle idee del capitano si doveva giungere in Senegal in tempi record, pur non rispettando la tabella di marcia. Quello fu solo il primo di una lunga sequela di errori e sottovalutazioni. Staccato il resto della flotta di chissà quante miglia, de Chaumareys iniziò a fare di testa sua, leggendo male le già carenti carte nautiche e non dando il minimo ascolto ai consigli dei più bassi in grado ma dalle capacità marinare nettamente superiori.
Il capitano dunque sbagliò rotta e finì per incagliarsi contro le secche del Banc d’Arguin, al largo della Mauritania. Senza riuscire a risolvere la situazione, nell’arco di due giorni Hugues Duroy de Chaumareys prese una decisione discutibile a dir poco: abbandonare la nave. Fu quella una sciagura anticipata, perché tutti sapevano che le scialuppe non sarebbero bastate ai circa 400 passeggeri. Chiaramente il capitano non perse tempo nel prendere una scialuppa di salvataggio per sé e la sua famiglia. Egli fu uno dei primi ad allontanarsi, assieme ad altri 250 membri dell’equipaggio. Invece i 150 che non poterono accedere a questo privilegio, dovettero arrangiarsi su una zattera di fortuna lunga venti metri e larga sette. Ed è qui che accadde l’indicibile.
Teoricamente una scialuppa aveva il compito di trainare la pesante zattera fino alla costa africana. Un peso, per l’appunto, che qualcuno tra i più agevolati non volle sopportare. Recise le funi utili al traino, i 150 naufraghi della Méduse furono lasciati soli, abbandonati al loro destino, inermi al cospetto dell’oceano agitato. Come nel peggiore degli esperimenti socio-comportamentali, la solidarietà sulla chiatta di legno venne meno in un batter d’occhio. Troppe persone in troppo poco spazio. Come risultato la piattaforma si inclinava pericolosamente ad ogni onda vagamente alta. Alla tragedia del 2 luglio ne seguì un’altra: la lotta per la sopravvivenza. Poco più di una dozzina perirono nella prima notte in mare aperto. In 70 circa finirono in acqua lottando per accaparrarsi un posto al centro della zattera.
Con la speranza al lumicino, ancor minori erano le provviste. Al nono giorno i pochi rimasti su quelle traballanti e mal collegate assi di legno iniziarono a cibarsi dei morti e a bere le proprie urine se non addirittura l’acqua salata. Il tredicesimo giorno fu quello della salvezza. Uno dei brigantini di scorta (inviato da de Chaumareys per recuperare un forziere d’oro sulla Méduse, non per salvare gli uomini rimasti indietro) intercettò la piattaforma galleggiante. Ne vennero prelevati 15, gli ultimi rimasti in vita. Ma di quelli ancora cinque perirono di stenti una volta toccata la terraferma.
Due dei sopravvissuti riusciranno poi a raccontare la storia dell’accaduto e l’eco della tragedia colpì in pieno la Francia. Incisioni, opuscoli, schizzi ed pamphlet rievocarono l’incidente della fregata Méduse. La giustizia agì, ma secondo gli standard dell’epoca: tre anni di detenzione per il capitano de Chaumareys e dimissioni del ministro della marina. Théodore Géricault raccolse l’eredità di quei racconti devastanti e tramutò le parole in arte, un’arte destinata a sconvolgere l’Europa primo ottocentesca dagli ideali tradizionali e dai valori reazionari.