Almanacco del 2 aprile, anno 568: Alboino, re dei Longobardi, varca le Alpi Giulie e penetra nei territori italici a nord del Po: nella penisola ha inizio l’epoca longobarda, un dominio che durerà formalmente per altri due secoli. Bisogna fare molta attenzione quando si citano con esattezza date così remote nel tempo, e infatti quella del 2 aprile 568, lunedì di pasqua, inizia ad essere più una convenzione cronologica che una fattualità inscritta vividamente nelle pagine del tempo.
La fonte che attesta suddetta data come l’inizio dell’impropria “invasione longobarda” è Paolo Diacono, autore dell’importantissima Historia Langobardorum. Nel libro concreto e astratto si confondono, storia e leggenda diventano inscindibili, perciò decretare una sua assoluta validità a livello storiografico sarebbe un azzardo a dir poco. Tuttavia è quel che abbiamo, e per dirla in termini proverbiali “si fa quel che si può, con ciò che si ha”.
Alboino, sottomettendo la tribù germanica dei Gepidi e stringendo una serie di alleanze con ulteriori popolazioni (tra cui annovero Avari, Sarmati, Sassoni, Alani, Unni, ecc…), dovette far fronte ad una necessità sempre più stringente. Vero: il prestigio del sovrano longobardo toccava vette mai raggiunte e in quel momento inarrivabili per la concorrenza. Vero anche che il popolo, soprattutto la nobiltà guerriera, richiedeva a gran voce nuove opportunità, terre vergini da poter conquistare, in cui poter allevare e costruire. Insomma, i segnali conducevano il re Alboino ad intraprendere una campagna per soddisfare quella volontà condivisa e chiaramente espressa.
Io la definisco campagna per comodità, in realtà dovrei parlare di migrazione-conquista. Un termine che si giustifica da sé. Il 2 aprile 568 (anche se recenti studi lasciano presagire come la data corrisponda all’inizio della marcia e non all’entrata dei Longobardi in Italia) un ammasso di 100/150 mila persone provenienti dalla Pannonia, oltrepassò l’arco alpino orientale. Di quelle, meno di un quarto brandiva scudo e spada. Famiglie, animali, carri ricolmi di masserizie, tutto e tutti al seguito del re, che nel frattempo discendeva in un territorio di competenza romana dopo la Guerra Gotica.
A proposito di quest’ultima, è interessante ragionare per un secondo sul contesto entro il quale si inserisce la migrazione longobarda. La guerra aveva peggiorato una già precaria situazione economico-amministrativa dell’Italia, decretando comunque un controllo politico – seppur marginale e lacunoso – da parte di Costantinopoli. I romani non osteggiarono l’avanzata longobarda, ritirandosi nelle città più importanti. Essi immaginavano come l’operazione, assimilabile ad una scorreria in grande stile, rientrasse non appena si fosse racimolato un bottino di tutto rispetto. L’autorità romana storse un po’ il naso quando notò che quella fiumana di gente preferì stanziarsi e occupare permanentemente le terre settentrionali. Ovviamente se di migrazione si è parlato, non si può fare a meno di evidenziare il carattere militare della campagna. Alboino vide cadere la prima città, Forum Iulii (Cividale del Friuli), solo nel 569.
Cividale divenne un ducato sotto le dipendenze di Gisulfo, nipote del re. A catena caddero quasi tutte le città più importanti del nord-est: Aquileia, Vicenza e Verona. Subito dopo ci si mosse verso occidente, prendendo Milano nel settembre del 569 e avanzando oltre. Di fatto la fascia pedemontana tra le Alpi e il Po divenne una prerogativa longobarda. Solo Pavia lottò per tre anni prima di cadere anch’essa. La città sarebbe diventata la sede regia del nuovo regno longobardo. Esso fu tutt’altro che accentratore e dispotico, e anzi contribuì all’evoluzione storica (termine da intendere nella sua totalità di significato) dell’Italia.