Almanacco del 19 novembre, anno 1969: nell’ambito del Programma Apollo, gli astronauti dell’Apollo 12, Charles Conrad e Alan Bean, effettuano con successo il secondo allunaggio della storia umana. Essi sono rispettivamente il terzo e il quarto uomo a poggiare il piede sul suolo del satellite terrestre. A giudicare dai primi convulsi istanti della missione, iniziata cinque giorni addietro, tutto si sarebbe ipotizzato tranne che un esito favorevole.
Apollo 12, questo era il nome della sesta missione con equipaggio programmata al dettaglio dalla NASA. Ancora tre i prescelti per l’impresa spaziale: il comandante Charles Conrad, il pilota del modulo lunare Alan Bean e l’altro pilota, ma del modulo di comando, Richard Gordon. Come data del lancio si scelse il 14 novembre 1969. Mentre il luogo prescelto fu lo spazioporto di Cape Kennedy, oggi John F. Kennedy Space Center, in Florida.
Pioveva a dirotto quel giorno. Il vento soffiava forte sui volti infreddoliti dei presenti; in tanti per carità, ma non abbastanza da eguagliare il calore trasmesso qualche mese prima, in occasione della madre di tutte le spedizioni lunari, Apollo 11. Tra la gente c’è uno spettatore d’eccezione, il 37° presidente americano, Richard Nixon. Nonostante le cattive condizioni metereologiche (e due fulmini che colpirono la punta del razzo, fortunatamente senza danneggiare seriamente la strumentazione ma generando lo scompiglio tra i presenti) si convalidò la partenza. Alle 16:22 UTC (11:22 ora statunitense) il Saturn V decollò verso un cielo plumbeo e minaccioso.
Il 18 novembre l’equipaggio arrivò in orbita lunare. Conrad e Bean si prepararono all’atterraggio. Richard Gordon sarebbe rimasto in orbita selenocentrica nel modulo di comando, denominato Yankee Clipper. L’allunaggio, il secondo della storia umana, si verificò il 19 novembre 1969. Gli astronauti riuscirono ad atterrare nella posizione prevista, a pochissima distanza dal “vecchio amico” Surveyor 3, il lander robotico che aveva esplorato l’area nel 1967.
Magari l’esclamazione di Charles “Pete” Conrad non fu solenne come quella di Armstrong durante la leggendaria missione Apollo 11, ma ebbe comunque il suo effetto. Mettendo piede sulla polverosa luna Conrad urlò “Whoopee” esattamente come farebbe qualunque bambino felice di scendere dallo scivolo o di saltare dall’altalena. Spese anche una battuta per il collega dell’Apollo 11: “Cavolo, forse è stata una piccola cosa per Neil [Armstrong], ma è una cosa lunga per me”. Il riferimento verteva sul piccolo passo per Armstrong, ma sul grande passo per l’umanità.
Effettuate come da copione le mansioni richieste, dopo quattro ore Conrad e Bean tornarono sul modulo per riposare. Lo fecero indossando la tuta spaziale, così da non rischiare il contatto delle delicate giunture con la polvere lunare, altamente abrasiva. Una volta svegli, i due si avventurarono in una seconda lunga escursione, prelevando numerosi campioni prima di dirigersi verso il punto in cui il Surveyor 3 “riposava” appollaiato sul bordo di un cratere. Questa è stata la prima, e finora unica, volta in cui l’umanità ha rivisitato una sonda robotica dopo il suo atterraggio e la sua dismissione. Volendo testare gli effetti a lungo termine delle radiazioni solari e dell’esposizione allo spazio, gli astronauti smontarono diversi pezzi della sonda per portarli a casa e farli analizzare.
In seguito la coppia di astronauti si sarebbe ricongiunta con Gordon. Qui si inserisce un dettaglio veramente spaventoso, che all’epoca dei fatti non era noto ai diretti interessanti ma aleggiava spettralmente nella sala comando della NASA. Esisteva la concreta possibilità che i fulmini caduti durante il decollo avessero sbloccato prematuramente i paracaduti necessari all’atterraggio. Se l’eventualità si fosse concretizzata, per i tre dell’Apollo 12 non ci sarebbe stata speranza. Essi si sarebbero schiantati contro la superficie terrestre. Sapendo che non c’era modo di riparare un simile guasto, la NASA tenne nascosta l’informazione all’equipaggio. Tirarono il più grande sospiro di sollievo di sempre dalle parti di Cape Kennedy quando, il 24 novembre, l’ammaraggio dello Yankee Clipper venne effettuato con successo. I paracaduti si aprirono a nove minuti esatti dalla discesa, come previsto.
La missione Apollo 12 fu al contempo un grande trionfo e un drammatico fiasco. Diversi caricatori di pellicole fotografiche erano andati persi o danneggiati, per non parlare della distruzione accidentale della macchina fotografica a colori (esposta in direzione del sole nelle fasi immediatamente successive all’allunaggio). Entrambe le perdite furono un duro colpo per gli scienziati che speravano di studiare le immagini. Tuttavia la seconda, ovvero l’assenza di fotografie a colori, rappresentò un durissimo colpo per la NASA, sia a livello d’immagine che per meri calcoli economici.
Le reti televisive liberarono i palinsesti e vendettero spazi pubblicitari appositi per la trasmissione a colori in presa diretta di un’escursione sulla Luna. Alla fine non ebbero un bel niente da trasmettere. A ciò si aggiunse un interesse pubblico scemante e un conflitto d’intenti interno all’agenzia spaziale statunitense. Qualcuno, più di qualcuno, paventò l’annullamento del Programma Apollo. Per rimettere le cose in carreggiata, la NASA non poté che sperare nella missione successiva: Apollo 13.