Almanacco del 19 aprile, anno 1994: la Francia condanna all’ergastolo Paul Claude Marie Touvier, tristemente noto come il “boia di Vichy”, dopo un processo durato cinque anni. La sentenza del 19 aprile è un pretesto utile a raccontarvi la storia del primo francese ad essere stato condannato per crimini contro l’umanità. Al di là delle Alpi, la stampa ha sempre trovato un appellativo per rivolgersi ad un uomo il quale nome non può e non deve passare in sordina. “L’eterno fuggiasco”, il “chierico-nazionalsocialista”, il ben più noto “boia di Vichy”, soprannomi che vorranno pur dir qualcosa, ma che lasciano intendere solamente in parte l’orrore di cui fu capace questo individuo. Ma chi fu allora Paul Touvier?
Paul Touvier rientra in quella micro-categoria di criminali di guerra macchiatisi dei peggiori delitti, tra l’altro a danno della propria nazione e dei propri connazionali, e tuttavia protetti dagli stessi una volta calmatesi le acque. La sua storia si lega indissolubilmente a quella della Francia di Vichy, il regime fantoccio e collaborazionista dei tedeschi. Di questo stato vi parlai già in passato, facendo una veloce disamina dei principali rappresentanti. Dunque non mi soffermerò molto sul funzionamento o la struttura di quell’entità sub-nazionale. L’obiettivo, semmai, è quello di far luce su un’altrettanto oscura pagina della storia transalpina: la latitanza di tanti, troppi criminali di guerra coperti da reti ecclesiastiche durante tutta la seconda metà dello scorso secolo. Un contesto così delineato ci permette adesso di affrontare la vicenda di Touvier.
La Blitzkrieg in Francia convinse nel 1940 il già fervente nazionalista Touvier ad abbandonare l’uniforme dell’Armée de terre, disertare perciò dall’esercito e riparare a Chambéry (zona d’occupazione italiana). In Provenza entrò a cuor leggero nella Milice, un’organizzazione di matrice estremista nata per cooperare con i tedeschi in territorio francese e attiva in operazioni di contrasto alla partigianeria nonché di rastrellamento degli ebrei per conto della Wehrmacht. Finì sotto il comando di Klaus Barbie. Il “boia di Lione” affidò a Touvier la direzione dell’intelligence della Milice e solo in seguito un ruolo nell’amministrazione delle faccende logistiche a livello regionale. Tradotto: Touvier avrebbe fatto il lavoro sporco per le SS di stanza a Lione.
Fu durante questi anni che l’allora funzionario e collaborazionista del regime di Vichy si macchiò di alcuni dei più atroci crimini. Non solo si rese diretto responsabile delle deportazioni in territorio di sua competenza, ma partecipò personalmente ad alcune violente retate. L’assassinio dei coniugi Hélène e Victor Basch (quest’ultimo presidente della Lega per i Diritti Umani, ottantenne nel 1944) e l’esecuzione sommaria di 7 ebrei a Rillieux-la-Pape sono episodi che contribuirono ad avvalorare la tesi dell’accusa in sede giudiziaria, tesi che protendeva alla condanna per crimini contro l’umanità.
Terminata la guerra, di Paul Touvier si persero le tracce. Tra il 1946 e il 1947 la Francia liberata lo processò e condannò in contumacia. Poi il silenzio per quasi dieci lunghissimi anni. Paradossalmente l’istituzione ecclesiastica francese, di cui si fece portavoce monsignor Charles Dequare, si attivò per scagionare Touvier dai reati commessi ed ebbe anche successo. Ricordiamo come negli anni di guerra la chiesa francese e Touvier riuscirono a far coincidere i loro interessi, collaborando attivamente. Incredibile ma vero, il presidente gollista Georges Pompidou (in carica dal 1969 al 1974) arrivò a concedere la grazia all’ex esponente della Milice. La notizia fece il giro del mondo e causò un polverone mediatico senza eguali. In virtù delle proteste, Touvier non si rivelò e continuò a vivere nella macchia.
Non si parlò più del caso per quasi un ventennio. Nel 1988 il magistrato Jean Pierre Getti incaricò una task force di catturare l’ancora fuggitivo Touvier. La macchina poliziesca ed investigativa si svegliò da quel profondo sonno che l’aveva contraddistinta fino ad allora. In realtà tutto si riattivò velocemente quando i magistrati stessi entrarono in possesso di prove sensibili, le quali indicavano dei collegamenti tra alcuni esponenti di spicco della gerarchia ecclesiastica e il collaborazionista latitante.
Delle intercettazioni telefoniche permisero agli agenti di tracciare una strada investigativa, una via che li avrebbe condotti presso l’abbazia di Châteauroux. Lì trovarono delle valigie appartenenti ad un certo Paul Lacroix, ma l’analisi degli effetti personali rivelò un’altra verità. Quel nome era lo pseudonimo (uno dei tanti) di Paul Touvier. Un prete tradì l’ex funzionario di Vichy, perché ne indicò la residenza presso un altro monastero non lontano da Nizza. Il 24 maggio 1989 la gendarmeria arrestò finalmente l’eterno fuggiasco. Seguì un processo lungo ed intenso, durato cinque anni circa. Finalmente il 19 aprile 1994 arrivò il verdetto: colpevole. Il “boia di Vichy“, Paul Claude Marie Touvier, si spegnerà in carcere due anni dopo per un cancro alla prostata.