Almanacco del 18 luglio, anno 1620: bande armate di cattolici assaltano la popolazione protestante tra i paesi di Tirano e Morbegno, in Valtellina. L’episodio, in cui si registreranno dalle 400 alle 600 vittime, passerà alla storia come il “sacro macello” e sarà il tragico presupposto da cui scaturirà una lunga contesta tra Spagna e Francia per il controllo dell’area nel più generale ambito della Guerra dei Trent’anni.
Ora però un piccolo passo indietro. Comunità riformate vivevano in Valtellina almeno da ottant’anni rispetto alla data del drammatico avvenimento. In tal senso erano state incessanti e fruttuose le predicazione dei numerosi profughi religiosi italiani che dalla penisola cercavano rifugio in luoghi più clementi e tolleranti. Il periodo di quiete durò relativamente poco. Particolare rilievo ebbe un incrocio di interessi politico-religiosi che da una parte vide coinvolti gli spagnoli (Ducato di Milano) e dall’altra i cattolici controriformisti. Suddetta commistione d’interessi ebbe come effetto immediato un deterioramento della situazione già a partire dal primo Seicento.
Prima del XVII secolo sussisteva infatti nel territorio valtellinese – allora facente parte della Repubblica delle Tre Leghe, nota informalmente come Grigioni – una sostanziale equità tra le comunità evangeliche e quelle cattoliche. Si registrarono anche lodevoli episodi di supporto e generosità reciproca (condivisione dei luoghi di culto, prestiti in denaro per le corrispettive attività religiose…). Le mire spagnole sulla valle divennero effettiva realtà quando il governatore di Milano fece erigere all’imbocco della valle una grande fortezza dotata di una folta guarnigione armata: il forte di Fuentes.
I Grigioni risposero nel 1617 con la promulgazione di vari editti limitanti per i cattolici. Atti di intimidazione sfociarono anche in violenza vera e propria. Emblematico fu l’assassinio di un ecclesiastico a Sondrio per mano dei riformati. Gli spagnoli desiderarono a lungo la guerra e finalmente il momento giusto si palesò nel 1620, mentre nel resto d’Europa imperversava la Guerra dei Trent’anni (1618-1648). La liberazione del corridoio valtellinese consentiva agli Asburgo una linea di rifornimenti pressoché interrotta sul continente. La cosa non piacque particolarmente a Venezia e alla Francia. La prima per il potenziale blocco commerciale con l’entroterra, la seconda… Beh, sono Francia e Spagna, rivali per loro natura. Detto ciò, entrambe le potenze non intervennero per problematiche interne. Soprattutto in Francia il cardinale Richelieu doveva tenere a bada possenti sollevazioni ugonotte.
Se questo era il quadro generale, allora è semplice ipotizzare come i disordini di matrice cattolica in Valtellina fossero invero stati orchestrati da Milano. Quale che fosse il retroscena politico, fu l’efferatezza della strage ad impressionare i contemporanei. Il 18 luglio 1620 i massimi esponenti cattolici nella valle ricevettero l’ordine di scatenare l’insurrezione. Coloro che si rifiutarono, aiutando nella fuga le famiglie protestanti, vennero trucidati a loro volta. Il governatore svizzero, associato ai Grigioni, si vide costretto a fuggire per non soccombere sotto le spade nemiche.
Il “sacro macello“, espressione coniata dallo storico Cesare Cantù a metà XIX secolo, causò un esodo dei riformati verso le altre leghe retiche nonché in direzione dei cantoni svizzeri protestanti. Da lì in tanti avrebbero intrapreso strade diverse: chi verso i Paesi Bassi o Berlino, chi in direzione della Moravia o del Palatinato. Dopo il 18 luglio, venne meno il governo dei Grigioni. Al suo posto nacque uno Stato fantoccio espressione del volere asburgico. Si susseguirono negli anni a venire accordi (spesso disattesi) e nuove ostilità (spesso inconcludenti). Alla fine la situazione sembrò rientrare nel 1639 con la restituzione della Valtellina alla rediviva Repubblica delle Tre Leghe, a fronte del lento declino della supremazia spagnola.
L’eccidio di quel giorno è rimasto impresso nella memoria del valtellinesi, nonostante gli immediati tentativi del soglio pontificio di insabbiare quanto accaduto. Persino in epoche più vicine l’episodio ha subito non poche rivisitazioni, venendo presentato dalla fazione filo-cattolica come una rivolta, un fatto di guerra in un contesto bellico confuso, un’esagerazione forse sì, ma nei limiti della contrapposizione confessionale. Al contrario il “sacro macello” in Valtellina fu la prova di cosa significasse allora – e significhi oggi – intolleranza ed estremismo.