Almanacco del 17 aprile, anno 1521: Martin Lutero, a seguito della pubblicazione delle sue 95 tesi, presenzia alla Dieta di Worms personalmente convocata dall’imperatore Carlo V. L’audizione di Lutero, perdurata fino al giorno seguente, servì al riformatore per giustificare le proprie posizioni di fronte all’élite imperiale. Sebbene la convocazione del teologo tedesco sia l’evento maggiormente rilevante dell’intera dieta, essa rappresentò il contesto e il momento adatto per aprire una discussione sulle principali questioni inerenti l’impero e la figura dell’imperatore.
La Dieta di Worms iniziò ufficialmente il 28 gennaio del 1521, concludendosi nel maggio del medesimo anno. Carlo V d’Asburgo, più che mai interessato a non far sprofondare i suoi domini in lotte intestine figlie di controversie religiose, convocò la dieta a seguito del caso luterano. Esso “scoppiò” nel gennaio, quando Papa Leone X scomunicò Martin Lutero accusandolo di eresia hussita. L’imperatore, volendo mantenere la promessa per la quale alcun suddito sarebbe stato condannato dal braccio ecclesiastico senza prima passare per un equo processo secolare, invitò Lutero a discutere (e magari abiurare…) le sue posizione discordanti a Worms.
Forte di un salvacondotto, il 16 aprile Martin Lutero giunse nella città situata sulla sponda occidentale del Reno. Il giorno seguente, dopo aver atteso circa due ore sulle scale del palazzo imperiale, Lutero si presentò al cospetto dell’Asburgo “impassibile et silenzioso” e dei sette principi elettori. Sul tavolo posto a pochi centimetri dall’imputato si trovavano le tesi che in qualche modo egli avrebbe dovuto giustificare. L’invito che giunse tuonante dalla giuria costrinse il teologo a leggere i titoli delle 95 tesi. Ma per la ritrattazione Lutero chiese ulteriore tempo, utile alla riflessione. Così la giunta si ritirò per decretare un verdetto.
Carlo stesso acconsentì alla proroga di ventiquattro ore per il giudizio della dieta, seppur uscendo dal palazzo di Worms stizzito, come sembrano dimostrare le parole pronunciate al suo seguito: “Non sarà costui a fare di me un eretico”. Il 17 aprile si concluse con un Lutero immerso nei suoi pensieri e con una dieta saldamente contraria alle predisposizioni riformiste. Tornati in sede di giudizio il giorno seguente, l’avvocato imperiale incalzò “pater Martinus” a rispondere dei suoi scritti.
Il teologo si pronunciò in latino, chiarendo come stesse parlando prima di tutto in nome della nazione tedesca. Egli si ritenne allora portavoce di un popolo oppresso da Roma e dalla sua fiscalità asfissiante, nonché corrotta. Ma è sulle questioni di fede che scagliò il carico da novanta. Sostenendo come il pontefice stesso si fosse allontanato dalla dottrina evangelica, Lutero si definì “buon cristiano” nel correggere Sua Santità e tutta l’ecclesia romana.
La ritrattazione avvenne, semmai, per le tesi accusatorie rivolte ai suoi nemici politici. In quel caso il teologo sostenne di aver esagerato, pur nel nome di una giusta causa. Terminato il lungo discorso, un affaticato pater Martinus ripeté il tutto in tedesco. Carlo V lasciò l’aula quasi interdetto e i gendarmi scortarono l’imputato nella sua stanza d’albergo. Alcune fonti riportano come Lutero, una volta giunto al soglio della porta dell’ostello, alzò le braccia ed urlò: “Ich bin hindurch” – ovvero “Ce l’ho fatta!”. Uno scossone religioso e politico dalla portata inaudita stava per attraversare l’Europa intera.