Almanacco del 14 marzo, anno 1757: l’ammiraglio britannico John Byng viene giustiziato dalla corte marziale inglese con l’accusa di “negligenza”. Si può passare alla storia -suscitando al contempo grande scalpore internazionale – per la propria morte dopo una vita tutt’altro che memorabile? A quanto pare la risposta è sì. Ce lo insegna l’ammiraglio della Royal Navy, Sir John Byng.
Ok, prima di piombare sul 14 marzo di quel 1757, bisogna fare un passo indietro, uno step lungo circa un anno. Scoppiata la Guerra dei Sette Anni (1756-1763), l’isola di Minorca, in mano agli inglesi da mezzo secolo, è un territorio super strategico. Il possesso dell’isola garantisce un certo ascendente sul Mediterraneo occidentale. La Francia, che questa nozione tattico-strategica l’aveva ben appresa, mirò alla conquista della seconda isola dell’arcipelago per estensione. Nel maggio del 1756 uno squadrone francese composto da 12 vascelli e 5 fregate partì da Tolone. L’obiettivo era assediare la guarnizione inglese in loco, sconfiggerla e impossessarsi dell’isola.
Per evitare che ciò accadesse, la corona inglese affidò il comando dell’operazione di difesa all’ammiraglio inglese John Byng, allora di stanza sulla Manica. L’ufficiale non ebbe chissà quanto tempo per preparare un piano d’azione, così come non ebbe praticamente modo di rifornire adeguatamente le sue navi. L’ordine era tuonante, così l’ammiraglio partì alla volta del Mediterraneo, con molto coraggio e poco altro, purtroppo per lui. Giunto a Minorca, Byng stabilì contatti col forte difensivo solo temporaneamente. Presto i francesi ingaggiarono lo scontro con i vascelli della Royal Navy, danneggiandone alcune.
Il povero ammiraglio Byng, non potendo riavvicinarsi al porto di Minorca, decise di riparare altrove (Fort St. Philip) per far aggiustare l’aggiustabile, visti i danni subiti. L’ufficiale non fece in tempo a ripartire per rompere l’assedio sull’isola che una nave proveniente dall’Inghilterra lo informò del sollevamento dall’incarico. La guarnigione minorchina di Sua Maestà Giorgio II d’Inghilterra capitolò, consegnando le chiavi dell’isola alla Francia. Il fallimento costò la corte marziale a Byng. Lo attese infatti un processo militare, che lo accusò di “non aver fatto il possibile” e perciò di inaccettabile “negligenza“.
Risultato? Senza la grazia del re, desideroso di rispettare la volontà di popolo (che non aveva chissà quali simpatie per Byng) l’ammiraglio si rimise al triste giudizio di un plotone d’esecuzione e ai suoi moschetti. Questi tuonarono il 14 marzo del 1757, uccidendolo. La severità con la quale la corte marziale giudicò l’ammiraglio e il trattamento riservato ad un ufficiale di quel grado suscitarono lo sconforto di molti, anche tra gli osservatori internazionali. Voltaire fece satira sull’accaduto, riprendendo l’episodio nel suo Candide. In un passaggio il filosofo francese fa dire al protagonista, idealmente presente sul luogo dell’esecuzione: “Dans ce pays-ci, il est bon de tuer de temps en temps un amiral pour encourager les autres” – ovvero “In questo paese, è bene uccidere un ammiraglio, di tanto in tanto, per incoraggiare gli altri”.
Altre due curiosità prima di lasciarci. Quella di John Byng fu l’ultima pena capitale per un ufficiale del suo grado eseguita dall’Impero Britannico. Svariati emendamenti addolcirono le sanzioni per gli stessi reati. La seconda curiosità si ricollega alla prima. Proprio perché Byng fu giudicato con eccessiva intolleranza (c’erano intrighi politici alle spalle della vicenda), i suoi discendenti nel 2007 hanno consegnato al governo inglese una petizione per il perdono postumo e la riabilitazione della sua immagine pubblica. Il Ministero della Difesa tutt’oggi rifiuta di concedere l’assoluzione.