Almanacco del 14 febbraio, anno 1879: scoppia la guerra del Pacifico tra Cile e la coalizione composta da Bolivia e Perù. Questo è uno dei rari casi in cui una vicenda del secondo Ottocento continua a influenzare, ancora oggi, nel XXI secolo, i rapporti tra persone e persino istituzioni delle nazioni coinvolte. L’esito di quella guerra – quasi ignorata alla storiografia occidentale – sconvolse un quadro e ne ridisegnò un altro, a noi più noto perché corrispondente alla situazione attuale. Ebbene il conflitto sudamericano che infiammò il 14 febbraio 1879 merita ben più risalto di quello dato altrove.
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Allora come oggi, le guerre scoppiavano per questioni prevalentemente economiche e politiche. Solo che al tempo l’uso della forza era uno strumento legittimo (non che oggi non lo sia, seppur la legittimità appaia velata, se non distorta) per la risoluzione di gravose dispute. I confini fra i tre stati latinoamericani in quel frangente storico erano diversi da come lo sono oggi. Il Perù si estendeva molto più a sud, il Cile di conseguenza occupava meno terra a nord, e la Bolivia aveva uno sbocco sull’oceano, individuabile nel deserto di Atacama.
Aguzzate lo sguardo su una mappa e noterete che quello di Atacama è uno dei deserti più aridi e inospitali del pianeta. Lo era anche all’epoca, con l’unica differenza che con l’avvento dell’industria moderna, gli occhi di tutti fissavano quell’angolo di mondo non per la sua inospitalità, bensì per le sue ricchezze naturali. Esso conservava grandissime quantità di guano e salnitro. Magari non vi diranno nulla, ma entrambi contengono dei nitrati utilissimi alla produzione di fertilizzanti e polvere da sparo. Insomma, controllare Atacama significava controllare una corposa fetta del mercato mondiale di queste due materie. E chi deteneva il controllo del deserto? Domanda da un milione di dollari.
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La sovranità formale apparteneva a Perù e soprattutto alla Bolivia, ma a lavorarci erano le imprese cilene. Esisteva dal 1866 un concordato tra Cile e Bolivia che stabiliva lo sfruttamento paritario (del 50%) del suolo desertico a scopi economico-commerciali. L’inghippo era tuttavia di carattere geografico: il Cile aveva gioco facile nell’arrivare sulle aride distese di Atacama, la Bolivia doveva superare le Ande per farlo.
Questa disparità incancrenì con gli anni, perché a nessuno l’accordo del 1866 sembrava risolutore. Il Cile arrivò a chiedere (e guadagnare) sempre di più, con Bolivia e Perù che iniziarono a criticare la validità storica nonché giuridica delle frontiere. Quest’ultimi due paesi avevano una buona ragione per temere il governo di Santiago: dalla metà del secolo il Cile stava mettendo su una marina militare moderna ed efficiente, con l’intento di elevarsi a potenza egemone anche da un punto di vista militare nella regione. Nessuno dava rassicurazioni a Lima e La Paz sul fatto che lo scomodo vicino, in caso di necessità, non si fosse avvalso dell’arma nautica.
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Le paure si concretizzarono in un patto segreto di mutua assistenza. Se il Cile avesse attaccato per primo uno dei due paesi, l’altro sarebbe intervenuto in soccorso dell’aggredito. Il panico – a priori giustificato – fu forse eccessivo. Il governo boliviano impose una pesante tassazione a danno delle più grandi compagnie cilene coinvolte nell’estrazione di guano e salnitro. Fu quella la palla di neve che iniziò a rotolare dalla cima della montagna. D’altronde a quei tempi ci voleva davvero poco per infiammare gli spiriti patriottici e nazionalisti (tanto in Sudamerica, quanto in Europa e non solo). Le società estrattive cilene, supportate dallo Stato, rigettarono i dazi; allora il governo boliviano minacciò la confisca di tutti beni stranieri sul suo territorio. Come pensate che reagì il Cile? Esatto, con la forza!
Il 14 febbraio 1879 le truppe cilene appena sbarcate presero la città di Antofagasta, capoluogo dell’omonima provincia boliviana. L’aggressione comportò lo scoppio della guerra del Pacifico, anche se gli atti formali (le rispettive dichiarazioni di guerra) furono resi pubblici tra marzo e aprile.
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Si trattò di una guerra combattuta per terra e per mare, anche se il predominio navale giocò un ruolo vitale. Nei momenti di massimo sforzo bellico, gli eserciti interessati non misero in campo più di 20.000 o 30.000 unità. Impietoso il confronto con un conflitto terminato neppure da un decennio prima dall’altra parte del mondo, la guerra franco-prussiana, in cui si fronteggiarono più di due milioni di soldati. Il Cile disponeva di miglior armamenti, di un supporto logistico pressoché totale (alla fine la marina cilena prese il sopravvento su quella peruviana) e di forme moderne di addestramento truppe. I risultati furono visibili sul corto-medio periodo: l’esercito cileno prima sconfinò in Perù, sbaragliò i boliviani a Tacna (26 maggio 1880) e poi i peruviani ad Arica (7 giugno 1880).
A quel punto la Bolivia alzò bandiera bianca e al Cile non rimase che occupare Lima, la capitale peruviana, nel 1881. Sul campo non vi era stata storia e la vittoria cilena fu solare. Non proprio limpidissimi i rapporti dei tre Stati belligeranti sul trattamento di prigionieri di guerra e civili (si denunciarono centinaia di crimini di guerra, quando ancora il diritto internazionale era solo una mera questione di formalità cavalleresche). Tecnicamente la guerra poté dirsi conclusa già all’alba del nuovo decennio. In pratica però continuò sottoforma di guerriglia latente fra esercito cileno occupante e forze armate peruviane. Lima si arrese solo nell’ottobre del 1883.
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In apertura si è detto che il conflitto scoppiato il 14 febbraio 1879 continua, anche se in forma minore, ad influenzare i rapporti tra gli Stati finora considerati. È vero nella misura in cui si tiene conto del dato geopolitico e demografico. Fu allora che la Bolivia cedette la provincia di Antofagasta e il Perù quella contigua di Tarapacá. Il governo di Santiago incentivò l’immigrazione interna verso le nuove province così da rendere omogeneo l’equilibrio demografico. Se su Atacama e sulle sue ricchezze svetta ancora oggi la bandiera cilena, adesso sapete perché.