Almanacco del 10 maggio, anno 1993: un incendio disintegra la fabbrica di giocattoli Kader, in Thailandia, causando la morte di 188 persone e il ferimento di altre 469. È considerato il più grave incendio mai avvenuto in uno stabilimento industriale. Nonostante la portata catastrofica della vicenda, l’eco della notizia non varcò i confini nazionali.
La fabbrica che quello sfortunatissimo 10 maggio di 31 anni fa divenne epicentro di un tragico, benché evitabilissimo, incidente era proprietà del gruppo Charoen Pokphand, multinazionale thailandese nonché colosso asiatico nel settore agroalimentare. Situato nel distretto di Sam Phran, nella provincia di Nakhon Pathom (Thailandia centrale, a poca distanza dall’area metropolitana di Bangkok), lo stabilimento produceva giocattoli per conto di alcune delle più grandi aziende e multinazionali occidentali; per citarne due: Disney e Mattel Inc.
La proprietà della struttura apparteneva invece alla Kader group, responsabile dell’edificazione dei vari caseggiati all’interno dei quali posizionare i macchinari della Charoen Pokphand per la produzione su licenza e in scala industriale di peluche e bambole in plastica. Proprio le norme di edificazione sono il punto della discordia attorno il quale costruire un ragionamento quanto più critico e schietto possibile. Per avere un’idea degli “standard di sicurezza“, basti sottolineare come lo stabile Kader non presentasse uscite di sicurezza. Aspettate, non è finita qui: onde evitare “fughe” durante l’orario lavorativo, i responsabili della produzione imponevano la chiusura a chiave delle ordinarie porte d’accesso.
I lavoratori, per lo più giovani e giovanissimi provenienti dalle campagne circostanti, erano imprigionati all’interno della fabbrica, costretti a lavorare in condizioni disumane per una manciata di monete a fine giornata. Si aggiunga come le travi costituenti l’edificio erano in acciaio non isolato. Quando l’incendio prese rapidamente piede, il calore fece perdere alle suddette travi le proprietà strutturali. Risultato? Un crollo istantaneo.
Ma da cosa originò l’incendio? Secondo le ricostruzioni, le prime avvisaglie provennero dal piano terra, adibito all’impacchettamento dei prodotti. L’ambiente era contraddistinto dalla presenza di materiale altamente infiammabile. L’allarme antincendio non suonò e agli operai al piano di sopra venne intimato di continuare, dato che si trattava – utilizzando le parole di un responsabile operativo – di un “fuocherello circoscritto” (testimonianza di un sopravvissuto). Fatalmente, le fiamme si propagarono in un batter d’occhio, travolgendo anche gli altri piani. Quando la maggior parte dei presenti si rese conto della gravità della situazione, era oramai troppo tardi.
Gli addetti alla sicurezza chiamarono i vigili del fuoco alle 16:21, ben 21 minuti dopo la conflagrazione. Visto lo sbarramento delle porte, disperati saltarono dal secondo, dal terzo e dal quarto piano pur di non venir sbranati dalle lingue di fuoco. Molti di loro riportarono gravissime (se non mortali) lesioni a seguito della caduta. Alle 17:14 la struttura si accartocciò su se stessa, crollando inesorabilmente. In 188 ci rimisero la vita, tanti di più rimasero segnati fisicamente da quella vicenda. Eppure in quel 1993 chiunque etichettò l’accaduto come “secondario”, perché “secondarie” erano le esistenze consumatesi tra le fiamme.